Nella notte tra il 12 e il 13 marzo 2023 (ora italiana), in molti, critici e appassionati di cinema, si sono chiesti se effettivamente il Premio Oscar per la miglior attrice protagonista vinto da Michelle Yeoh, per la sua interpretazione in “Everything everywhere all at once”, fosse stato meritato. Invero, alcuni tra i più illustri esperti di cinema sostenevano che la preziosa statuetta sarebbe dovuta essere assegnata a Cate Blanchett per il ruolo di Lydia Tàr nell’omonima pellicola di Todd Field.

A volte capita che ci siano delle interpretazioni talmente convincenti da mettere d’accordo tutti, come la performance di Emma Stone in “La La Land”. Che le valse il Premio Oscar, il Golden Globe e la Coppa Volpi alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia. Oppure quella di Olivia Colman nelle vesti della regina Anna di Gran Bretagna nel bellissimo film di Yorgos Lanthimos “La Favorita”. Altre volte però, alcuni attori e attrici riescono a regalare delle interpretazioni tanto profonde da meritare ben altri riconoscimenti piuttosto che un premio “commerciale” (passatemi il termine) come l’Oscar. Mi viene in mente Willem Dafoe, che nel 2019 venne candidato per la sua intensa e magistrale impersonificazione di Vincent Van Gogh. Ma vide soffiarsi l’agognata statuetta da Rami Malek.
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Per tal motivo è forse lecito che, alla fine, l’Oscar sia andato all’attrice malese. Cate Blanchett è stata semplicemente sublime nell’interpretare la tormentata, “lesbica monogama”, direttrice d’orchestra in cerca d’ispirazione per la partitura del suo nuovo concerto. Sostanzialmente questa è la trama che gira attorno alla figura di Lydia Tàr. Una donna intensa quanto Carol Aird e nevrotica quanto Jasmine Francis, due tra i personaggi più affascinanti e complessi impersonati da Miss Blanchett. L’attrice Premio Oscar (sembra quasi canzonatorio definirla così) si cimenta infatti in una performance tanto espressiva da sembrare quasi irreale. L’attrice australiana si muove di fronte alla macchina da presa come se fosse sul palcoscenico dei più importanti teatri del mondo. Grazie anche alla sua gestualità e alla sua innata eleganza, sia nell’eloquio che nelle movenze, riesce ad appassionare anche i meno avvezzi alla musica classica.

Ma tanta bravura può bastare a rendere “Tàr” un buon film?
La regia di Todd Field è sicuramente eccelsa. I campi lunghi, i piani sequenza perpetui e il montaggio poco dinamico ma allo stesso tempo e ben costruito rendono “Tàr” una pellicola dai toni autoriali. Degna di una rassegna come la Mostra del Cinema di Venezia ma non adatto ad ogni tipo di pubblico. Invero, la profondità del film di Field e la perfezione della sua regia, potrebbe non bastare a sanare le pecche di una sceneggiatura poco convincente che si sorregge interamente sulla Blanchett. Dialoghi inutilmente lunghi rendono a tratti superflua la centralità della musica classica che Field decide, intelligentemente, di utilizzare come metafora dell’identità sessuale e dei turbamenti dell’animo umano.
“Tàr” è quindi un film da vedere?
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Assolutamente si. Oltre ad offrire una delle più belle interpretazioni di un’attrice del calibro di Cate Blanchett, la pellicola di Field riesce a raccontare il lento declino mentale e professionale di una donna talentuosa e di successo. Nonché una compositrice determinata e apprezzata in tutto il panorama musicale. Trascinando lo spettatore in una dimensione che oserei definire onirica, il regista descrive il cambiamento della percezione della vita da parte di Lydia a seguito di uno sconvolgente e inaspettato avvenimento.
Infine è molto apprezzabile la centralità della musica, che Field usa intelligentemente come metafora dell’identità sessuale. Qui pone importanti questioni sulla moralità e sull’etica. Senza però dare una vera e propria risposta ma invitando il pubblico a riflettere su quanto ha appena visto.
Di seguito, il Trailer di “Tar”.