Da molti considerato come l’ultimo grande film muto di Hollywood, “Tempi Moderni” rappresentò per Charlie Chaplin il definitivo passaggio al cinema parlato. Per questo motivo il regista e protagonista del film, decise che sarebbe stata anche l’ultima apparizione del suo personaggio più caratteristico: Charlot. L’eterno vagabondo con la bombetta troppo stretta, le scarpe esageratamente grandi, la giacca striminzita e il bastone da passeggio sempre in mano.
Chaplin, consapevole che ben presto si sarebbe dovuto adeguare al nuovo dictat del parlato, era perfettamente conscio del fatto che non avrebbe mai potuto attraversare la porta del sonoro assieme al personaggio che lo accompagnava da ventidue anni (“Charlot giornalista” 1914). Decise quindi di scrivere un epilogo degno della filosofia chapliniana, in cui la malinconia viene ammorbidita dalla speranza di un futuro migliore.
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Facendo udire a tutti, per la prima volta, la voce di Charlot nell’indimenticabile scena del balletto in cui recita una filastrocca senza alcun senso, ma divenuta famosa nella storia del cinema.
Ma l’importanza di “Tempi Moderni” va oltre la voce di Charlot.
Il film è difatti un documento storico su quella che era la situazione in America durante la Grande Depressione, dopo il Crollo di Wall Street. La pellicola divenne nel corso del ventesimo secolo una raffigurazione visiva schierata apertamente dalla parte dei lavoratori, affamati e sottopagati in un’America in piena crisi economica. Costretti a lottare per un tozzo di pane e conservare la propria dignità verso un sistema capitalistico che sfruttava la precarietà degli operai che ammassavano le fabbriche per un posto di lavoro, i proletari vennero rappresentati da Chaplin come figure teatrali in un mondo ostile.
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Anni prima i Lumiere (qui l’articolo dedicato ai Lumiere) inventarono il cinematografo portando all’attenzione dello spettatore immagini di vita quotidiana. Uno scenario documentaristico in cui i protagonisti, ignari o meno, lavoravano la terra, innaffiavano il giardino o semplicemente camminavano per strada. Per anni, attraverso i loro film, i fratelli francesi portarono sul grande schermo una realtà quotidiana in cui tutti potevano calcare la scena.
Chaplin, invece, grazie al personaggio di Charlot, mostrò al mondo la Grande Depressione rielaborando il contesto secondo il suo punto di vista, riuscendo a rendere tutto quanto tragicamente comico. L’eterno vagabondo infatti si troverà inconsciamente coinvolto in manifestazioni e disordini dovuti alla precarietà lavorativa, alla perenne ricerca di un tozzo di pane. Creando così un forte paradosso con la realtà che lo circonda: più sei un delinquente, più otterrai vitto e alloggio. Più sei un cittadino onesto, più vivrai col dubbio se a fine giornata riuscirai a mangiare.
Ma come è nata l’idea di “Tempi Moderni”?
Gennaio 1931. “City Lights” (“Luci della città”) era pronto per l’uscita nelle sale cinematografiche. In quel periodo, il cinema parlato si stava velocemente affermando, e i dirigenti della United Artists Records, la casa produttrice della MGM, temendo che il pubblico non apprezzasse il nuovo film muto di Chaplin, consigliarono all’attore di accompagnare l’uscita della pellicola nella sale americane e nelle grandi capitali europee e asiatiche.
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Chaplin partì per un viaggio che durò circa un anno e mezzo, durante il quale entrò in contatto con le più celebri personalità dell’epoca, come Albert Einstein, Winston Churchill e il Mahatma Gandhi.
Durante il loro incontro, che avvenne a Londra, l’attore si interessò al motivo per cui il Mahatma si opponesse all’impiego delle macchine. Secondo Gandhi, in un paese poco sviluppato come l’India, la meccanizzazione non era altro che un mezzo per l’occidente per aumentare lo sfruttamento del popolo indiano. Nella mente di Chaplin si sviluppò pian piano quel pensiero progressista orientato dalla parte della classe operaia che introdusse all’interno di “Tempi Moderni”. L’industria, dopo il Crollo del ‘29, subì grosse perdite. Di conseguenza, per risollevare i propri profitti, sfruttava la classe operaia, abbassando il costo della mano d’opera e pagando i manovali con un salario inadeguato rispetto alla produzione.
La sequenza iniziale del film è un esempio perfetto.
Charlot (Charlie Chaplin) ha un impiego in una fabbrica e la sua mansione è quella di stringere dei bulloni in una catena di montaggio. Il rullo che fa scorrere i pezzi di fronte all’operaio, viaggia ad una velocità talmente elevata da non concedere neppure un secondo di tregua ai lavoratori, i quali sono costretti a sottostare ad un ritmo serrato per non rischiare di trovarsi disoccupati. Chaplin descrive questo status sociale attraverso Charlot, un vagabondo costantemente affamato, alla continua ricerca di un impiego e di un tetto sopra la testa.
Nonostante queste piccole, grandi difficoltà che incontra, Charlot è un personaggio ottimista, che vive la vita giorno dopo giorno, trasmettendo speranza allo spettatore. Quel tipo di speranza di cui l’individuo ha fortemente bisogno, per svegliarsi la mattina e affrontare la vita.