Mamma, mamma, ho fame voglio la pappa. (“Tempi Moderni”)
Durante quella che viene storicamente ricordata come “l’età d’oro di Hollywood”, i proprietari delle maggiori case di produzione, come Louis B. Mayer (proprietario della MGM) e Jack Warner (proprietario della Warner Bros.), nell’ambiente cinematografico possedevano gran parte del potere decisionale.
Ma tra questi illustri imprenditori, spiccava un nome che risultava decisamente atipico: Charlie Chaplin.
Chaplin, regista, sceneggiatore e attore, aveva difatti raggiunto una considerevole autonomia artistica grazie ai guadagni maturati durante la produzione delle comiche che aveva diretto e interpretato tra il 1914 e il 1917 per la Keystone, la Essanay, la Mutual e la First Nation. Grazie a titoli come “Charlot va al ballo” (1914, Keystone), “Charlot vagabondo” (1915, Essanay) e “Charlot ubriaco” (1916, Mutual), Chaplin riuscì a mettere insieme un cospicuo capitale, tanto da renderlo del tutto indipendente dai grandi Studios.
Investendo parte dei ricavi derivati dai successi delle comiche, nel 1917 Chaplin diede il via alla costruzione dei Chaplin Studios a Hollywood, completata all’inizio del 1918. Poco dopo, assieme al regista D.W. Griffith e a due grandi attori come Mary Pickford e Douglas Fairbanks, fondò la United Artists, una compagnia che distribuiva e gestiva ogni loro produzione. Furono proprio i dirigenti della casa di distribuzione, preoccupati dall’avvento del cinema parlato, che nel 1931 consigliarono a Chaplin di promuovere “Luci della Città”, accompagnando l’uscita del suo ultimo film in Europa e Asia. Fu così che il protagonista de “Il Monello” partì per un viaggio attorno al mondo che lo portò a conoscere personalità eclettiche come Albert Einsten, Winston Churchill e il Mahatma Gandhi.
Grazie all’incontro fortuito che ebbe con Gandhi durante la premiere di Londra, Chaplin cominciò a riflettere sugli effetti della Grande Depressione che ebbe non solo sull’industria, ma sul popolo, affamato e bisognoso dei beni primari di ogni essere umano. Grazie alle proprie idee politiche e al desiderio di comunicare un messaggio di solidarietà al popolo operaio, Chaplin sviluppò l’idea che lo portò alla creazione di “Tempi Moderni” (cliccando su questo link trovate l’articolo dedicato a “Tempi Moderni”).
Ma esponiamo alcune curiosità riguardanti il capolavoro di Charlie Chaplin.
1 – UN FILM PARLATO??
Verso la fine degli anni ‘20, il cinema stava affrontando un grande cambiamento. Attori e attrici che fino ad allora si erano dedicati alla difficile arte della pantomima, trovarono difficoltà a passare dal cinema muto al cinema parlato. Come accade in “Singin’ in the Rain” a Lina Lamont (Jean Hagen), con l’avvento del parlato le case di produzione si resero conto che molti interpreti possedevano una voce inadatta o addirittura sguaiata (come nel caso di Lina Lamont) per avere successo delle nuove produzioni. Chaplin non aveva certo di questi problemi. Avendo a disposizione un discreto capitale e possedendo sia una casa di distribuzione sia i Chaplin Studios, aveva un considerevole potere decisionale. Grazie all’avvento del cinema sonoro e parlato, considerava la pantomima un’arte in via di estinzione.
Col senno di poi, lo stesso Charlie Chaplin decise che il suo “Tempi Moderni” doveva diventare un film sonoro, non parlato.
Difatti “Tempi Moderni” era stato concepito come un film parlato. Prima che le riprese cominciassero, Chaplin scrisse i dialoghi per quasi tutte le scene; e assieme al suo staff, effettuò tutti i test per il sonoro. Alcune scene furono effettivamente girate sia nella versione sonora che in quella parlata; ma ben presto accantonò l’idea poiché sosteneva che le parole avrebbero impoverito il film.
Chaplin era prima di tutto un mimo; e in quanto tale dava particolarmente importanza alla pantomima, quell’arte che aveva reso le sue comiche importanti sia per il teatro che per il cinema. Grazie all’arte scenica era diventato Charlot, quel personaggio che, senza bisogno della parola sapeva esprimersi meglio di chiunque altro. Ed è proprio in “Tempi Moderni” che Chaplin donò a Charlot, il vagabondo che lo aveva accompagnato fin dalla sua prima apparizione nel 1914 in “Charlot ingombrante”, un degno epilogo e, soprattutto, la voce. Charlot, difatti, dando finalmente libero sfogo alla propria vena artistica, intonerà la propria versione della “Titina”.
2 – CHARLOT MUSICISTA
Durante la produzione di “Luci della Città”, per la prima volta Chaplin si cimentò nel difficile compito di comporre personalmente le musiche per il film. Chaplin era un perfezionista (oltre che genio). Scriveva personalmente i suoi film, li dirigeva, li produceva e, infine, li interpretava. Ma tutto questo non bastava a colmare quella frenesia creativa per giungere alla perfezione finale. Sentiva di dover aggiungere personalmente le melodie ai suoi film, quelle note che, avrebbero reso le sue pellicole immortali.
Sebbene Chaplin non fosse in grado di scrivere la musica aveva un orecchio e un senso del ritmo fuori dal comune, tanto che riusciva a ricreare qualsiasi tipo di melodia una volta ascoltata. Difatti compose la colonna sonora di “Tempi Moderni” in un mese. Un esempio perfetto del suo talento musicale, è la sequenza in cui reinterpreta la canzone “Je cherche après Titine”, dal numero de “La Titina” di Léo Daniderff. Chi conosce la filmografia di Charlie Chaplin, certo saprà che grazie a tale sequenza per la prima volta tutto il mondo poté udire la voce di Charlot.
3 – ERA UN PERFEZIONISTA
Come abbiamo già scritto, Chaplin era un perfezionista. È noto che spesso si intratteneva più tempo sul set fino a quando non riusciva ad ottenere il risultato sperato. La scena della sequenza in cui nella fabbrica giunge un rappresentate per mostrare un macchinario brevettato per ridurre i tempi della pausa pranzo, servendo pietanze già sezionate e pronte per essere mangiate, è un esempio.
Fu Chaplin stesso ad azionare i congegni sotto al vassoio del cibo, mancando appositamente la propria bocca, riuscendo comunque a donare spontaneità alla scena. Una sequenza divertente, senza alcun dubbio, ma che rispecchia perfettamente la volontà dei datori di lavoro di possedere il pieno controllo sulla vita dei propri operai. Continuare a produrre è più importante che concedere ad un dipendente qualche minuto di relax per godersi il proprio pasto.
Fu un complicato lavoro di coordinazione. Furono necessari 200 ciak ripetuti nel giro di cinque di riprese.
4 – UN FINALE INCONSUETO
Chaplin era consapevole che con “Tempi Moderni” si chiudeva l’era di Charlot, quel personaggio da lui stesso creato nel lontano 1914, protagonista della sua importante carriera, divenuto un’icona nella storia del cinema e un modello da imitare. Chaplin, quindi per dire addio a Charlot, desiderava per lui un lieto fine.
Tuttavia, all’inizio delle riprese, Chaplin aveva scritto e diretto un finale diverso da quello che noi tutti conosciamo. In effetti l’epilogo scritto originariamente da Chaplin non era il linea con la storia di Charlot e della Monella, due eterni sognatori che vivono nella speranza di un futuro migliore. La scena che venne girata, ma non montata, vedeva Charlot scoprire che la Monella, con la quale desiderava condividere i propri sogni e la propria vita, era diventata suora. Niente a che vedere con il romantico finale, pieno di amore e speranza che Chaplin scrisse e diresse donando un degno epilogo al suo Charlot.
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