La terza stagione di The Bear sarà stata all’altezza delle aspettative? Avrà confermato l’altissima qualità delle prime due stagioni?
Nelle prime due stagioni di “The Bear” abbiamo assistito alla trasformazione di una semplice paninoteca in un ristorante. Un’impresa apparentemente titanica e sicuramente molto stressante. Tanto che sul finale di stagione Chef Carmy (Jeremy Allen White), rimasto chiuso dentro la cella frigorifera, aveva espresso tutto il suo malessere in una sfuriata che aveva portato alla rottura con Claire (Molly Gordon).
Ebbene, in questa terza intensa stagione “The Bear” ci ha mostrato quanto gestire un ristorante possa essere altrettanto frenetico e stressante. E probabilmente è proprio perché questa volta si parla della gestione di un ristorante di lusso e non di una paninoteca che la serie TV ha alzato la posta in gioco. Invero, così come il The Bear, anche i personaggi che abbiamo conosciuto e amato fin dalla prima stagione hanno subito una forte evoluzione. Ma, come ben sappiamo, il passato nella serie TV targata Disney, è importante almeno quanto il futuro.
Leggi – The Bear stagione 2: La cucina come metafora di vita
Per questo, attraverso le febbrili ma ben elaborate immagini del passato di Carmy, “The Bear” si fa sempre più introspettiva. Puntata dopo puntata. Questa terza stagione infatti, non è un semplice viaggio culinario nella cucina capitanata da Chef Carmy e Chef Sydney (Ayo Edebiri). Ma un intimo pellegrinaggio nelle ansie, nei dubbi e nelle paure di ogni protagonista, dall’impulsivo Cugino Richie (Ebon Moss-Bachrach) all’esperta ma insicura Tina (Liza Colòn-Zayas).
Partendo da tali presupposti “The Bear” ritrova quella narrazione tanto frenetica quanto efficace e quel particolare stile che ha contraddistinto le precedenti stagioni, andando a creare una poesia figurativa densa di un realismo al limite della perfezione. Nonostante l’imperfezione costante in cui si muovono Carmy e gli altri membri della famiglia del The Bear.
Invero, nella terza stagione più che nelle altre, tutto quanto appare imperfetto, dalla comunicazione nella cucina del lussuoso ma ancora disfunzionale ristorante, ai complicati rapporti interpersonali fino ai personaggi stessi, in quanto ognuno di essi è umano. E in quanto tale è soggetto all’errore.
Leggi – House of the Dragon stagione 2: la calma prima della tempesta
Ma forse, e sottolineo forse, nel voler porre in evidenza tali imperfezioni, “The Bear 3” rischia di osare un po’ troppo. La scelta di frammentare le varie fasi della trama, incrociando probabilmente in maniera eccessiva il presente con il passato, rischia di interrompere quell’impatto emotivo che si percepisce ad ogni sequenza e l’empatia che viene a crearsi con i personaggi tanta è l’intensità di alcune interpretazioni.
Il tutto accompagnato da una colonna sonora che comprende artisti come Eddie Vedder, i Radiohoed, Taylor Swift, Van Morrison e gli intramontabili Rolling Stones. Una soundtrack che fin dal primo episodio risulta coinvolgente quanto la stagione stessa. Riesce a rispecchiare le emozioni, i sentimenti e turbamenti provati da Carmy. E da tutti coloro che compongono il suo universo.
“The Bear 3” riesce quindi a mantenere quella profonda qualità viscerale in grado di attraversare il sottile confine dello schermo mostrandoci uno spaccato di vita tanto incredibile quanto coinvolgente nella sua semplicità. Sullo sfondo di una Chicago frenetica e catartica, la serie creata da Christopher Storer si conferma come uno dei migliori prodotti seriali degli ultimi decenni (senza esagerare). Riuscendo così a proiettare noi umili spettatori nel crudele mondo delle cucine di lusso. Colmo di sacrifici e collaborazione, senza però rinunciare a connettere le singole vite di ogni membro della cucina con la frenesia e l’attenzione maniacale che si respira nella cucina del The Bear.
Leggi – Presunto Innocente: Dal romanzo di Scott Turow un gioiello targato Apple TV
Il risultato è una stagione calibrata e coinvolgente che attraverso l’accuratezza della regia riflette l’attenzione per i dettagli nella lavorazione delle leccornie del ristorante. E grazie ad una dettagliata sceneggiatura riesce ad esaltare la caratterizzazione dei personaggi.