È proprio vero che un gran cast non è necessario a fare un bel film. Ricordiamo che in “The Bikeriders” sono presenti Tom Hardy, Jodie Comer, Austin Butler, Michael Shannon, Norman Reedus.
Quanto mai è possibile che un film possa creare un desiderio incontrollabile di visionare altre pellicole di genere? Oppure, in questo caso, visionarle nuovamente? Ovviamente il pensiero va automaticamente al cult “Easy Rider”, classe (1969). Oppure al film “Il Selvaggio” (1953) dove Marlon Brando divenne un’effettiva icona e quando la motocicletta e chi saliva sulla suddetta, possedeva carattere, un’autentica presenza scenica tale da rappresentare un’epoca.
E grazie a quei rombi di motore, la figura del motociclista divenne sacra, quasi venerata, raccontando storie, di coloro che salivano in sella e guardavano all’orizzonte e osservavano il mondo assaporandone il gusto.
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Ed è grazie a queste pellicole che noi profani abbiamo conosciuto la figura del motociclista, e qualcuno, attratto dal sex appeal di Brando e dall’autarchia, ha desiderato di imitarne gli atteggiamenti e i modi di fare.

Per questo considero “The Bikeriders” un film privo di quel trasporto emotivo, un trasporto che invece era degno dei film di un tempo.
Scritto e diretto da Jeff Nichols, già regista del più gradevole “Take Shelter”, il film è ispirato all’omonimo libro (edito nel 1968) del fotoreporter Danny Lyon, qui interpretato da Mike Faist (leggi la recensione di Challengers), e che racconta, o meglio, che tenta di descrivere, grazie ad una serie di interviste, le storie di coloro che facevano parte, o che osservavano da vicino il Chicago motorcycle club degli Outlaws MC, qui nominati, invece, Vandals.
“The Bikeriders” non segue quindi lo stilema narrativo del racconto, bensì di un reportage a cui è ancorato il passaggio del club da rifugio per motociclisti a oscuro club di delinquenti.
Jeff Nichols racconta quindi la fine di un’era, dove Johnny (Tom Hardy), un semplice camionista appassionato dei film di Marlon Brando, prende un’importante decisione che cambierà il corso della sua vita: fondare un club di motociclisti, i Vandals. Il fotoreporter Danny Lyon seguirà quindi le storie di coloro che, in un modo o nell’altro, hanno fatto parte della vita nel club e attorno al club. Dagli anni ’60 fino alla sua fine. Danny intervisterà Kathy (Jodie Comer), la moglie di Benny (Austin Butler). Colei che, a causa delle priorità del marito, ha vissuto all’ombra dei Vandals e ha potuto cogliere le oscure ombre e le sfumature di un gruppo di ragazzi, divenuti uomini che desideravano solo salire su una moto, proteggersi a vicenda e bere in compagnia.
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Il problema del film, però, rimane nella narrazione. Mentre la regia desidera guidare lo spettatore attraverso una storia d’altri tempi, con l’immagine di Austin Butler e Tom Hardy, nutrendo quindi l’illusione che diventino moderni James Dean e Marlon Brando, la sceneggiatura, povera di dialoghi all’altezza di una storia che racconti realmente qualcosa di concreto, sia la caratterizzazione, povera di personaggi che lascino davvero il segno (facciamo l’esempio di Benny, un Austin Butler che poco a poco riesce a formare una frase, troppo occupato a fumarsi una sigaretta piuttosto che far partecipi noi spettatori su quale sia il reale motivo per cui ama così tanto le moto), si arrampicano sugli specchi. Il reportage, che dovrebbe infatti narrare la storia dei vari membri dei Vandals, si perde in inutili congetture, come risse prive di ogni qualsivoglia motivo di esistere. Oppure intere scene dov’è l’alcol a essere protagonista.

Tutti scatenano risse. Ma i motivi sono futili e facenti quindi parte di una trama che non racconta realmente niente tranne che la storia di un gruppo di uomini che a stento vanno sulle moto ma che sì, bevono e fanno a botte.
La narrazione quindi rimane in superficie, non possedendo quel coraggio necessario di entrare e raccontare un’epoca che per molti ha davvero un grande e profondo significato.
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Tom Hardy, forse il personaggio più interessante, non riesce ad emergere nella sua esistenza da sognatore, idealista. Perdendosi quindi nella pochezza non solo di dialoghi ad esso dedicati, ma nella pochezza di scene che avrebbero meritato più approfondimento. La scena dove lui e Benny parlano della “successione” a capo dei Vandals ne è la prova. Perché Benny è visto come un leader? Perché è bello in moto ed ha il ciuffo biondo? E perché proprio lui è adatto al ruolo?.
Jodie Comer, che funge da voce narrante del film, ha poca presenza scenica. I legami con gli altri protagonisti sono davvero poco approfonditi, se si considera che la storia tra lei e Benny è partita con l’acceleratore ma non è stata affatto approfondita. Anzi, azzarderei dire che è stata proprio lasciata andare al suo destino, quasi come se Nichols se ne fosse dimenticato. E come non parlare del legame tra Kathy e Johnny. A quanto pare tra loro c’è freddezza, ma non se ne capisce il reale motivo. O meglio, è tutto affidato all’immaginazione dello spettatore.
“The Bikeriders” è quindi una narrazione che non narra. Una storia che non racconta abbastanza per appassionare e spiegare a noi umili spettatori privi di qualsivoglia cultura motociclistica, cosa realmente significa essere un motociclista.
Di seguito il Trailer di “The Bikeriders”.