Sinossi di “The Handmaid’s Tale“: In un mondo devastato dalle radiazioni atomiche, gli Stati Uniti sono diventati uno stato totalitario, basato sul controllo del corpo femminile. Offred, la donna che appartiene a Fred, ha solo un compito nella neonata Repubblica di Galaad (o Gilead): garantire una discendenza all’élite dominante. Il regime monoteocratico tipico di questa società del futuro, infatti, è fondato sullo sfruttamento delle cosiddette ancelle, le uniche donne che dopo la catastrofe sono ancora in grado di procreare. Ma anche lo stato più repressivo non riesce a schiacciare i desideri e da questo dipenderà la possibilità e, forse, il successo di una ribellione.
Stiamo parlando del libro di Margaret Atwood, del 1985, “Il racconto dell’ancella”.
Un libro rivoluzionario per l’epoca ma che mai come oggi risulta attuale se si parla di libertà, uguaglianza e diritti. Già reso film nel 1990, con Natasha Richardson nei panni della protagonista, nel 2017 ha avuto inizio la serie, “The Handmaid’s Tale”, tratta dal romanzo. Prodotta da Hulu, la serie è arrivata oggi alla quarta stagione e la stessa Atwood collabora come consulente al lavoro di produzione per far sì che non si perda il senso del suo romanzo.
La prima stagione di “The Handmaid’s Tale” segue fedelmente le pagine del libro, e ci porta in un mondo reale dove l’ordine delle cose è stato completamente stravolto. In un ipotetico e verosimile futuro, infatti, l’uomo ha abusato troppo delle ricchezze della terra, sperperandole. Le radiazioni hanno distrutto i raccolti, uomini e donne sono diventati sterili, i pochi bambini che nascono sono malformati o non raggiungono la pubertà. Un gruppo di fanatici prende il potere, applicando alla lettera alcune parti della Sacre Scritture. Il risultato è uno stato totalitario dove regna una cultura religiosa fondamentalista pseudo-cristiana su base vetero-testamentaria, una società fortemente patriarcale in cui la figura femminile non ha più alcun diritto, privata addirittura del proprio nome.
Ancelle sessuali o domestiche, a loro è vietato leggere e scrivere, ma non sono le uniche vittime del sistema.
I ricercatori, gli universitari, i medici sono stati costretti a piegarsi alle nuove leggi o sono morti; la libertà di culto è abolita, la libertà di amare è ora tradimento di genere, le seconde nozze sono reato, aiutare gli oppressi è reato, prendere in mano una penna, se si è donne, è reato. I comandanti hanno preso il potere mentre l’Occhio del regime osserva e controlla ogni cosa. Nessuno ha avuto il tempo di capire, di fuggire, perché, come spesso succede, si chiudono gli occhi quando sono gli altri ad essere privati dei propri diritti. Si inizia così. Prima una limitazione, una nuova legge, poi un maggior controllo. Si parte con gli attacchi alle minoranze, nell’indifferenza generale, si arriva a tutti gli altri ed ecco Gilead. Ed è troppo tardi per tornare indietro.
Protagoniste indiscusse sono le donne, che passeggiano a coppie per le strade di quelli che erano una volta gli Stati Uniti. Donne forti, deboli, vittime di violenza, ma anche, in alcuni casi, carnefici e oppressori. Ribelli, disperate, folli. Donne che sono state private dei loro lavori, dei loro conti bancari, delle loro vite.
La storia è raccontata quasi completamente dal punto di vista di Offred. Viviamo la sua giornata, i suoi rituali giornalieri, sentiamo le parole che ripete a se stessa per non impazzire, per non crollare, per non dimenticare.
Donne diverse le une dalle altre, le cui vite si toccano ma non si mescolano. Ci sono le ancelle, nei loro abiti rossi, che si muovono silenziosamente per la città, una colonna di fuoco così viva eppure invisibile. Dove prima c’erano negozi ora non c’è più nulla. Dove c’era la vita, ora c’è solo morte. Tutto sembra essere andato perduto, persino il ricordo, ma non per queste donne. A loro, più che a tutti gli altri è stata strappata la vita, i figli, l’identità. Nel libro non conosciamo neppure il nome di Offred. Non sappiamo chi sia. Un nome tra tanti sussurrato nell’ombra.
“Avevamo imparato a sussurrare quasi impercettibilmente. In questo modo ci eravamo scambiate i nostri nomi, di letto in letto.”
Alma, Janine, Emily, Moira, June. Nomi cancellati, persone che non esisto più. O forse no. La straordinaria Elizabeth Moss, la nostra Offred, non ha bisogno di parole. È il suo sguardo a parlare, nei momenti di silenzio, nei primi piani. È palpabile la sua angoscia e quella delle altre ancelle, schiave sessuali che non hanno altro compito se non quello di far nascere figli sani per la neonata repubblica di Gilead. Il loro incedere lento, i saluti rigorosi, i piccoli rituali sono un pugno dritto allo stomaco. Tutto è calmo, piatto, nessuno sembra voler ricordare.
Eppure, fuori dai confini di Gilead, c’è un mondo che guarda, che osserva ma non può agire.
Tra le ancelle, non possiamo non nominare l’incredibile performance attoriale di Alexis Bledel, col suo sguardo puro, che terrorizza e lascia immobili nel chiederci come sia possibile mutilare donne colpevoli solo di aver amato. Poi ci sono le Marte, le domestiche, le donne non fertili ma ancora utili alla società, quelle che sono state “salvate” dalle colonie e che sono parte integrante della famiglia a cui vengono affidate. Dall’altro lato, le carnefici, le Zie, carceriere senza scrupoli, il cui compito è addestrare le ancelle al ruolo che le attende, punendole, umiliandolo, cercando di cancellarne completamente lo spirito.
Infine, ecco le Mogli, con i loro vestiti azzurri, indifferenti e complici del sistema, impassibili e crudeli nel tenere i polsi delle ancelle che vengono stuprate dai loro mariti ogni mese. Serena Joy, la meravigliosa Yvonne Strahovski, desidera a tal punto essere madre da non provare mai un briciolo di rimorso per ciò che deve subire Offred o per il fatto che la società le abbia strappato la sua bambina, affidandola ad altre persone. Ma Serena, come tutti gli atri, non ha capito che il primario istinto di una madre, quello di riabbracciare la sua creatura, non potrà mai venire meno. Offred non è la donna di Fred come sottolineano minuto dopo minuto. Non è una proprietà, anche se la trattano come tale. È June Osborne e non si farà piegare.
“Salgo, nel buio, o nella luce”.
Il finale, sia della prima stagione che del libro, è aperto. Non sappiamo cosa accadrà. Ancora una volta, il nostro punto di vista è quello di June. Siamo anche noi persi, verso il buio o la luce.
Serie da consigliare Si o No?
Assolutamente si. “The Handmaid’s Tale” non è decisamente una serie leggera e posso dire che il rewatch è stato ancora più tremendo della prima visione. La lettura del romanzo, così come le 10 puntate della prima stagione, riescono a creare nel lettore/spettatore una tensione emotiva che fa quasi male, perché il passato di cui parla June è molto simile al nostro presente. Ciò che spaventa e che rende ancora più crudo il tutto è l’estrema facilità con cui il nuovo regime prende il potere, l’indifferenza generale, l’impassibilità di chi guarda il male ma non interviene. Lo stesso spettatore si sente impotente e forse è questo che rende la serie così incredibile e vera.
Gli attori protagonisti, e stavolta merita di essere citato anche il bravissimo Joseph Fiennes nei panni dello spietato comandante Fred Waterford, riescono a rendere unici i loro personaggi. Si calano a tal punto nella parte che è facile odiarli o provare empatia. I dialoghi sono ben fatti ma sono gli sguardi il vero linguaggio di questa serie. Gli occhi, le parole non dette, i pensieri nascosti: “The Handmaid’s Tale” è una serie che tocca l’anima e porta ognuno di noi a confrontarsi con la parte più intima e forse oscura del nostro io. Una serie che va vista per capire che non possiamo continuamente girare la faccia. Bisogna lottare per i propri diritti, per la libertà. Voglio concludere con una delle frasi più emblematiche di questa serie: Nolite te bastardes carborundorum. A voi scoprirne il significato. Buona visione e buona lettura, per coloro che vorranno addentrarsi nelle pagine della Atwood.
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