Un viaggio attraverso l’evoluzione dell’horror, da George Romero a Jordan Peele, fino ad arrivare a “Them”. La nuova serie targata Amazon Prime Video racconta il flagello del razzismo e della discriminazione.
Grazie alla sua efferatezza, il genere horror ha da sempre trattato importanti tematiche sociali. Basti pensare alla critica politica che si cela dietro “La notte dei morti viventi” di George Romero; o al terrore del diverso messo in scena nel “Frankenstein” di James Whale. Ancora oggi, alcuni autori emergenti riescono a creare degli horror di tutto rispetto, in grado di rendere onore e omaggio alla vecchia scuola. Tuttavia molti registi si sono lasciati sedurre dall’avvento dei Jump Scare, tanto da basare le loro opere esclusivamente sul fattore sorpresa, tralasciando altre parti fondamentali, come l’inquietudine e il perenne stato di apprensione.
Tuttavia, ci sono stati cineasti che, grazie al loro estro, sono riusciti ad usare con parsimonia i Jump Scare, creando il giusto connubio tra ansia psicologica e stupore, come nei primi due capitoli della saga di “The Conjuring”. E nell’ultimo decennio abbiamo potuto assistere alla rinascita del cinema horror grazie a registi emergenti come Ari Aster, Robert Eggers e Jordan Peele che, al pari di autori come Roman Polanski, basano le loro opere sulla suspense. Facendo così lentamente immergere lo spettatore nel clima di terrore e angoscia in cui vivono i personaggi.
In “The VVitch” (opera prima di Eggers), per esempio, l’ombra del Demonio aleggia imperterrita sulla famiglia del predicatore William, soggiogando la giovane mente della figlia maggiore Thomasin, senza mai rivelarsi. Un film che, riesce a incutere timore celando allo spettatore il volto della tediosa malignità che perseguita i protagonisti, come ai tempi fece “The Blair Witch Project”.
Questo è solo uno dei molteplici film che negli ultimi anni sono riusciti ad innalzare la qualità del nuovo cinema horror.
Vale la pena ricordare pellicole come “Suspiria” di Luca Guadagnino (remake dell’omonimo, diretto dal maestro Dario Argento), che, occultando il volto della Madre, riesce a trasportare lo spettatore in una dimensione onirica; “The Nest – Il Nido”, film d’esordio di Roberto De Feo, in cui la tenebrosa dimora si dimostrerà essere un rifugio e non una prigione; e “Midsommar” di Ari Aster, un incubo conturbante girato completamente alla luce del sole.
Ma il tema del razzismo, è una piaga ancora tremendamente (purtroppo) attuale. E senza dubbio una è delle materie che più si presta ad essere reinterpretata e affrontata in chiave horror. Basti pensare alla terza stagione di “American Horror Story” (sottotitolata come “Coven”) che racconta la storia di Madame Delphine LaLaurie, una sadica proprietaria terriera vissuta tra il XVIII e il XIX secolo. Ella torturava i propri schiavi per poi fare il bagno nel loro sangue, convinta che questo giovasse al suo desiderio di rimanere giovane e bella; o ad “Antebellum”, pellicola di Gerard Bush e Christopher Renz, ambientata in una piantagione di cotone.
Nondimeno, il merito di aver contribuito al rinnovamento del genere horror, incentrando un’intera pellicola sia sul turbamento mentale sia sul razzismo, va attribuito a Jordan Peele.
Difatti, con il suo film d’esordio “Scappa – Get Out”, un horror psicologico in grado di fondere ironia e discriminazione, è riuscito a raccontare una storia tanto inquietante quanto critica riguardo l’intolleranza razziale. Protagonista dell’opera prima di Peele è Chris Washington (Daniel Kaluuya), un giovane fotografo di colore, in procinto di passare il weekend assieme alla sua ragazza bianca, Rose Armitage (Allison Williams) e i suoi genitori (Bradley Whitford e Catherine Keener), due individui che, in un primo momento, sembrano affabili e accoglienti, per niente turbati dalla notizia che la figlia stia frequentando un ragazzo di colore. Tuttavia, dietro questa facciata di assoluta normalità, si nasconde una liturgia alla cui base si cela un profondo odio. Un odio dettato dal pregiudizio verso l’uomo nero; un incondizionato desiderio di predominio e sottomissione del diverso; la perfetta definizione di razzismo.
Ma quello che Peele mette in scena non è una semplice metafora dell’intolleranza, bensì un’acuta analisi sulla sensazione di discriminazione e impersonalità che attanaglia il popolo afroamericano.
Sensazioni che sono state abilmente espresse anche da Little Marvin nella prima stagione della serie TV “Them – Loro”, un racconto ambientato nell’America degli anni ’50 in cui la paura per delle oscure forze sovrannaturali si fonde con la brutalità del razzismo.
Tra il 1916 e il 1970, il Sud degli Stati Uniti era sotto il controllo delle Leggi Jim Crow, che negavano ai neri qualsiasi tipo di diritto acquisito dopo l’entrata in vigore del XIII Emendamento. Per fuggire da una tale assurdità, circa sei milioni di afroamericani si trasferirono nel Midwest, nel Nord–Est e a Ovest, dando il via a quella che si ricorda come la Grande Migrazione.
Dopo una conturbante sequenza iniziale, la storia di “Them – Loro” inizia proprio durante la Seconda Grande Migrazione. Nel 1953, la famiglia Emory, composta dai coniugi Henry e Lucky, e le loro due figlie Ruby e Gracie, si trasferisce da Chatham (North Carolina) a Compton, in California, un quartiere abitato solo da famiglie bianche. Giunti nella nuova casa, la famiglia Emory sarà costretta ad affrontare la repulsione e la convinzione dello status di supremazia di ogni abitante del vicinato.
Ma, allo stesso tempo, verranno perseguitati da un’entità maligna legata al passato dei loro avi. Questa, nutrendosi delle angosce e dei ricordi ancora vivi e mai sopiti, turberà la loro psiche, manipolando così le loro menti.
Difatti, oltre a far fronte comune contro l’ipocrisia e l’egocentrismo degli abitanti di Compton, gli Emory dovranno scontrarsi con un alienante senso di oppressione, dettato dalle continue torture (sia fisiche che psicologiche) del vicinato e dal tormento che, come un parassita, si annida dentro ognuno di loro. Ma il supplizio interiore di Lucky e della sua famiglia ha radici molto più profonde, così recondite da manifestarsi sotto forme diverse. Tanto da indurli a commettere atti che, irrimediabilmente, si ripercuoteranno non solo sul loro futuro, ma anche sulla loro coscienza.
Oppressa da un perenne stato di inquietudine, “Them” fa perno sullo stato di spossatezza e angoscia di ogni singolo membro della famiglia Emory, assillata non soltanto dalle continue rappresaglie del vicinato, ma anche, e soprattutto, dalla pressione psicologica indotta dalla perfida presenza che contamina le loro menti e la loro dimora.
Una presenza ridondante, volta a portare alla luce i turbamenti più profondi e una rabbia fin per troppo tempo repressa.
A causa di una grave perdita, la famiglia Emory cerca di sopravvivere giorno dopo giorno in un mondo ostile; e in una società perbenista guidata da un odio innaturale e gesti indicibili che li condurranno irrimediabilmente verso la strada della perdizione.
Ad Henry, il retto capofamiglia, un veterano di guerra ancora scosso dagli orrori vissuti durante il periodo bellico, il maligno si presenterà con l’aspetto di Black Face e farà perno sia sul suo senso di colpa che sulla rabbia; sentimenti che Henry ha soffocato nei confronti dell’uomo bianco, fin per troppo tempo.
Black Face, difatti, è una figura storica nata durante il XIX secolo, pochi anni prima della fine della schiavitù (1865), che ha impersonato per quasi un secolo l’aspetto, i modi e le tradizioni degli schiavi in maniera clownesca. Nato con il nome di Jim Crow (da cui presero il nome le leggi Jim Crow), la figura del minstrel e, di conseguenza, i tratti afro, venivano esaltati con della cenere nera e del trucco di colore rosso, esclusivamente per deridere il popolo nero.
Così il maligno, sotto forma di Black Face, opprime Henry ed entra come un’ombra carica d’odio nella mente dell’uomo.
Diversa è l’oppressione di Ruby, la figlia maggiore di Henry e Lucky. Lei, un adolescente nella delicata fase della crescita, schiacciata dalle continue ingiurie dei compagni di scuola, si ritroverà non solo a creare una figura illusoria come parte integrante della propria esperienza scolastica. Desidererà, a causa del proprio inconscio, e dal sogno di vivere un’esistenza priva di tormenti, di provare ad essere diversa e conforme all’ideale di “perfezione”.
“L’essere perfetto” quindi opprimerà il “diverso”. Lo braccherà sia attraverso la mente, insinuandosi nelle proprie angosce, sia attraverso il corpo, penetrando attraverso le viscere. Lucky infatti, considerata da molti mal pensanti una donna e una madre “fuori di testa”, nasconde un segreto e molteplici tormenti. E solo grazie all’aiuto delle sue forze riuscirà a recuperare una moderata lucidità.
Lucky infatti non vive. Lei sopravvive.
Ed è la sopravvivenza la parola chiave di “Them”.
Sopravvivere al male.
Sopravvivere a secoli di odio. Un odio che fin dentro le viscere e attraverso le nostre angosce, si insinua anche nel nostro presente.
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