“Tutti tranne te”. Una commedia tanto osannata quanto scontata.
Alzi la mano quanti, seppur da molti denigrate, hanno nostalgia delle commedie romantiche anni ’80 e ’90? Anche se nella mia lista personale inserirei molto volentieri anche alcuni film contemporanei, come “Crazy stupid love”, un film con un cast appropriato, ma soprattutto sorretto da una sceneggiatura sensata e coerente e una buona evoluzione dei personaggi.
Un altro esempio calzante di commedia divertente e piacevole da guardare (si, devo ammetterlo, mi piacciono i film che hanno un senso logico) del nuovo millennio è “30 anni in 1 secondo”. Un film sulla consapevolezza di cosa vuol dire diventare grandi. Un po’ come “Big”. Solo che Jennifer Gardner non resta ferma nel passato, o meglio…sì, ma viene improvvisamente, grazie ad un desiderio espresso, catapultata nel futuro.
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Due film molto diversi tra loro, ma che hanno importanti punti in comune: sono molto leggeri da guardare, senza particolari pretese, ma nonostante questo la storia scorre piacevolmente. E piacevoli sono fin anche quei momenti prevedibili. E anche quelli meno prevedibili.
Ma in tutto questo, voi penserete, divagare, vi è un ragionamento. Una serie di pensieri negativi palesati al momento in cui ho terminato la visione di “Tutti tranne te”, commedia sentimentale interpretata dai due attori del momento, ovvero Glen Powell e Sydney Sweeney, divenuta celebre grazie al ruolo di Cassie nella serie tv Euphoria.
Quel che voglio farvi capire, è che la commedia è nata per fare ridere con poco. La Slapstick comedy insegna. Vi ricordate Stanlio e Olio? Facevano ridere con una semplice buccia di banana. Non c’è alcun bisogno di inserire per forza inutili siparietti privi di senso, sterili, inefficaci ai fini della storia. Si, mi riferisco alla scena del sedere. O meglio, delle chiappe, plurale. Perfino la famosa scena del “gel” (chiamiamolo così) fra i capelli di Cameron Diaz in “Tutti pazzi per Mary” aveva un senso. E faceva ridere.
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Cary Grant. Il fu magnifico, elegante e badate, mai banale Cary Grant, il re delle commedie della Hollywood classica, colui che in “Susanna” faceva brillare la scena al solo alzar un sopracciglio o, vi ricorderete, coprire le grazie di Katharine Hepburn. Cary Grant, il re delle Screwball comedy (commedia incentrata sulla “guerra dei sessi”, ma non “Guerra dei Roses”, badate bene), aveva un modo tutto suo per fare divertire le platee. E ci riusciva. Chi ha avuto la fortuna di vedere almeno uno dei suoi film lo sa perfettamente. Quindi, per favore. Non paragonatemi Glen Powell a Cary Grant. Non esordite scrivendo “Glen Powell è il moderno Cary Grant”. È davvero disturbante leggere questi paragoni.
Il grande Peppino De Filippo, diceva: “Far piangere è meno difficile che far ridere”. È vero.
Vedete, la commedia ha una derivazione classica, e moltissime altre invece, storica. Ricordiamo “Accadde una notte” di Frank Capra, che ha iniziato il filone di quel genere di commedia romantica dove il tizio si innamora della tizia che però si deve sposare. E poi, ovviamente, la tizia si innamora del tizio e salta così il matrimonio previsto. Insomma, tutto un guazzabuglio di sentimenti, che però terminano con una presa di coscienza da parte dei protagonisti di amarsi follemente.
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Perché pochi film in realtà hanno il merito di avere una storia che non sia prevedibile. Ma anche se la prevedibilità è il pane quotidiano di ogni commedia romantica che si rispetti, è lo scorrere della storia, la qualità della storia che pone una differenza abissale dalla massa. Poi si sa, ogni film è figlio del proprio tempo. Basti pensare che moltissime commedie prendono ispirazione dal teatro. Come la “Traviata” di Verdi, cui presero ispirazione per la realizzazione della commedia romantica contemporanea (1990) e ricordata da molti, ovvero “Pretty Woman”.
Altre commedie, invece, hanno preso ispirazione dalla penna shakesperiana. Come in questo caso, “Tutti tranne te” trae vagamente ispirazione, e sottolineo vagamente da “Molto rumore per nulla”.
Al di là delle chiacchiere “sottovoce” di parenti e parenti che vorrebbero che Ben e Bea appianassero le loro divergenze e si unissero in un appassionato ritorno di fiamma, questo interminabile sermone è per farvi capire che, al mondo esistono film ben più godibili, colmi di senso compiuto, privi di qualsivoglia inutile gag che non ha ragione di esistere. Tutto questo per farvi capire che “Tutti tranne te” è una commedia romantica piena zeppa di difetti. E belli grandi, aggiungerei.
Fermo restando che il film ha una trama talmente scontata che anche un tizio a caso incapace di intendere e di volere saprebbe indovinare il finale di “Tutti tranne te”, il film presenta una parte iniziale coerente (tralasciando la gag inutile della Sweeney… nel bagno) per poi sprofondare nel nonsense. Per carità, i due protagonisti portano avanti la storia e tra loro, fortunatamente, vi è molta alchimia. Fingendosi amanti per un doppio fine, Bea e Ben (pare uno scioglilingua) battibeccano provando in tutte le maniere a omaggiare lo stile Screwball (vedete la scena nonsense della toccata di chiappa).
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Ma, sebbene entrambi gli attori ci provino con tutte le loro forze, cadendo anche in maniera molto imbarazzante nel ridicolo, non riescono a convincere. Così facendo la recitazione in molte occasioni appare sopra le righe. E qui cito anche la recitazione di Dermot Mulroney, qui padre di Bea e veterano delle commedie sentimentali di una volta (vi ricordate “Il matrimonio del mio migliore amico”?). Ebbene, l’ex fidanzato di Julia Roberts e l’ex marito di Cameron Diaz, qui appare come un Meme. Un padre fin troppo preoccupato e asfissiante per il futuro della propria figlia. Una macchietta dall’inizio alla fine del film. Il quale, come è ovvio che sia, assieme alla mogliettina (interpretata da Rachel Griffiths) pensano bene di chiamare l’ex ragazzo della figlia che diventa ben presto il ragazzo più inutile del mondo, perché come personaggio poteva anche non esistere considerata l’inutilità all’interno della storia.
Stessa cosa per l’ex ragazza di Glen Powell, il quale vorrebbe tornare assieme a lei. Anche se non è proprio Glen a dichiararlo espressamente. Fatto sta che, non riuscendo a capire molto bene le dinamiche passate tra di loro (sappiamo solo che il giovane Glen era immaturo… e chi non lo è in giovane età?) gli sceneggiatori hanno ben deciso di tenere segrete queste informazioni per dare più spazio al ragazzo surfista (che poi sparisce nel nulla) dell’ex ragazza di Glen.
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E dopo una scena alla “Jack e Rose”, un momento molto tenero tra di loro (non sto ironizzando questa volta) e il consueto battibecco pre-finale che condurrà in seguito e inevitabilmente (perché, poche trame sono davvero poco scontate) al ricongiungimento tra Bea e Ben (ma lo sceneggiatore tra tanti nomi a disposizione..!!!), le scene che veramente funzionano nel film sono quelle tra i due protagonisti.
Quelle scene prive di gag inutili e acchiappa risate che, specialmente in questo film, avrebbero fatto meglio a non inserire. Perché Glen Powell e Sydney Sweeney hanno dato prova di possedere una bella alchimia sullo schermo. E, aggiungerei, come in molti ne hanno giudicato la bravura, fate un salto e guardate Euphoria. Perché oltre a Zendaya e a Jacob Elordi, c’è anche Sweeney, ed è molto brava.
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