“È morta… è avvolta nella plastica, Harry”.
Con il ritrovamento del cadavere di Laura Palmer, introdotto dalle note incubotiche e malinconiche del tema che da lei prende il nome (Laura Palmer’s Theme di Angelo Badalamenti), inizia il viaggio all’interno di quella che, a furor di popolo e di critica, è considerata La serie per eccellenza. Imprescindibile, indimenticabile e inossidabile, “Twin Peaks” è un caposaldo del piccolo schermo. Un’opera pionieristica, complessa e stratificata, che si presta a molteplici letture e sulla quale nuove teorie fioriscono ancora, a distanza di trent’anni.
Il solo individuarne la trama principale, manda in confusione: è la storia di un omicidio su cui un integerrimo agente deve indagare? Così sembra, in un primo momento. E se la smentita si fa attendere, è solo perché il pubblico ha bisogno di essere preparato alla verità atroce che si cela dietro la morte di una ragazza. “Twin Peaks” è la storia di uno stupro perpetrato da un uomo ai danni di sua figlia.
Non stupirà, quindi, la preponderanza di un’atmosfera cupa e triste, che raggiunge picchi orrorifici e raccapriccianti, cui si mescolano momenti di sagace ironia, nonsense, gag dalla comicità grottesca.
Questa sequenza alternata di suggestioni è comunicata non solo attraverso la più riuscita messa in atto della formula “show, don’t tell”, ma anche tramite un’oculata scelta musicale. Il felice sodalizio con il compositore Angelo Badalamenti infatti permetterà di costituire l’anima della serie. Le sue melodie monotone e ridondanti hanno la capacità sinestetica di suscitare reazioni per le quali l’udito è solo la porta d’ingresso.
Se, da un lato, Mark Frost ha il desiderio, a un certo punto, di far quadrare qualche punto nella narrazione, il regista di Missoula si fa trasportare dalle atmosfere che le fanno da contorno. Ed ecco che l’episodio 8 di “Twin Peaks: The Return” diventa quindi un immenso affresco in bianco e nero sulle conseguenze del Progetto Manhattan, condotto in New Mexico nel 1945, sulle note di “Threnody for the victims of Hiroshima” di Krzystof Penderecki.
Il sogno, la meditazione trascendentale, il fenomeno elettrico. Tutti questi elementi porteranno alla collaborazione con la cantautrice Chrysta Bell (interprete dell’agente Tamara Preston in “Twin Peaks: The Return”), il cui brano “Blue Rose” riassume le suggestioni del suo mentore, David Lynch. La vera e propria svolta elettrica di Lynch si avrà nel 1964, in virtù del brano “Visions of Johanna” di Bob Dylan: una comunità folk decadente è contrapposta alle futuristiche visioni sulla scena musicale.
Dylan avverte il potere del “fantasma dell’elettricità”, che esplode metaforicamente, alla fine del brano, emanando un’energia che si ripercuoterà sulle generazioni successive.
Misticismo ed esoterismo porteranno alla nascita del personaggio di Phillip Jeffries, figura direttamente collegata ad Allister Crowley. Come il famigerato esoterista aveva fondato, a Cefalù, l’Abbazia di Thélema, luogo in cui si tenevano riti magici, così Jeffries, un agente speciale dell’FBI, aveva creato la Blue Rose, una Task Force segreta incaricata di indagare sui fenomeni paranormali. Delirante, sconnesso, sparisce in circostanze particolari. Non a caso, Jeffries è interpretato da David Bowie, autore, insieme a Brian Eno, del brano “I’m Deranged”, che è anche la traccia principale del film “Lost Highway” del 1997.
Il tema della metamorfosi, in “Twin Peaks”, non può che essere collegato a Franz Kafka: nell’ufficio di Gordon Cole viene spesso inquadrato proprio un ritratto dell’autore; quest’ultimo, a sua volta, è l’anello di congiunzione fra Lynch e Murakami: in “Kafka sulla spiaggia”, alcuni bambini rimangono coinvolti in un episodio di ipnosi collettiva, in occasione di una gita scolastica. Al risveglio, nessuno di loro ricorderà nulla dell’accaduto, tranne uno, il quale acquisirà la capacità di parlare con i gatti e di comprenderli. Allo stesso modo, Margaret Lantherman (la Signora Ceppo), dopo una particolare gita scolastica, conquisterà una singolare coscienza ecologica, che le permetterà di parlare con gli alberi.
A Murakami si deve anche la nascita della visione dei Little People del dottor Lawrence Jacoby; lo psichiatra, nella serie, dichiara di essere venuto in contatto con questa entità spirituale di derivazione hawaiana e origine extraterreste, che gli aveva inoltre rivelato di voler costituire una razza umana migliore di quella esistente.
Proprio i Little People sono i protagonisti dell’opera più ambiziosa dell’autore giapponese, “1Q84”.
E ancora a Murakami, Lynch si ispira per la creazione del personaggio di Leland Palmer. Nel romanzo “Dance Dance Dance”, un affascinante attore uccide una prostituta obbedendo alle regole di una cerimonia. La sua volontà è annullata, è come se lui agisse perché mosso da forze più grandi di lui. Il messaggio sotteso all’opera è che bisogna attraversare la vita a passo di danza. Il riferimento a Leland, al suo gesto inconsulto e ai suoi balletti macabri è lapalissiano.
La grandezza del regista di Missoula è glorificata anche dall’americano David Foster Wallace. L’autore rimarca la capacità di Lynch di entrare nella mente dello spettatore e onorare la sua realtà, senza scendere a compromessi. Wallace loda il coraggio della sua sincerità. Il romanzo “Infinite Jest” precorre l’ossessione lynchiana per il voyeurismo provocato dalla scatola luminosa: una cartuccia cinematografica ammalia a tal punto gli spettatori, da portarli al nichilismo e alla morte. In “Twin Peaks: The Return”, la società consumistica ha rinforzato la ricerca del piacere personale, tanto da prevalere sulla fisiologica paura della morte.
L’incredibile quantità di riferimenti crossmediali, nell’opera di David Lynch, rende difficile (ma non impossibile) districarsi in tutto il marasma di quello che, a uno sguardo superficiale, sembra nonsense fine a se stesso.
Ma non c’è da preoccuparsi. Quando un elemento è disposto a casaccio, sarà lo stesso Lynch ad affermare, con adorabile sfacciataggine, di non avere idea del perché lo abbia inserito.
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