Umbrella Academy 4 mi ha un po’ deluso. Scoprite perché.
L’Umbrella Academy si trova in una nuova dimensione spaziotemporale in cui tutti i componenti hanno perso i loro poteri. Sono trascorsi ormai sei lunghi anni dalla loro “caduta” in questa nuova dimensione e la loro vita è, innegabilmente, cambiata. Ma per quanto la loro realtà possa essere chiara ad uno spettatore che ha dovuto attendere un po’ troppo tempo per ritrovare la famiglia dei sei eroi più disfunzionali della serialità, è la sceneggiatura fin troppo sfuggente e la caratterizzazione dei suoi personaggi a peccare in questa nuova ed ultima quarta stagione. Nata dalla miniserie a fumetti di Gerard Way e Gabriel Bá, edita dalla casa editrice Bao Publishing, l’Umbrella Academy, diversissima aggiungerei da come appare sulla carta (ed è giusto così), la serie tv è stata distribuita su Netflix a partire dal “lontano” 2019.
Fin da subito i suoi protagonisti, ovvero Luther, Diego, Allison, Klaus, Cinque, Viktor (anche se prima era Vanya), si erano contraddistinti per le loro speciali peculiarità caratteriali, oltre che per i loro poteri. Klaus, per esempio, avente la straordinaria capacità di evocare i defunti (come il suo caro fratello Ben, morto quando erano tutti ancora ragazzini), era bloccato dall’odio verso il “padre”, il signor Reginald Hargreeves. Difatti da piccolo, per manifestare i suoi poteri il signor Hargreeves era solito costringere il ragazzo a star dentro ad un mausoleo, dove veniva tormentato da molti spiriti. Così, per bloccare queste manifestazioni, Klaus (Robert Sheehan) si era dato alla tossicodipendenza.
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Ma veniamo al più importante membro dell’Umbrella Academy (ovviamente a mio avviso).
Cinque (Aidan Gallagher), da sempre stato il cervello della famiglia, all’età di tredici anni, avendo la capacità di saltare tra lo spazio-tempo, si perde tra le linee del tempo, e così, per moltissimi anni non riesce più a tornare a casa. Solo quando ormai i suoi fratelli sono adulti, lui farà di nuovo capolino, ma con un aspetto decisamente diverso. O meglio, con l’aspetto in cui tutti i fratelli Hargreeves si ricordavano di lui: come un ragazzino di tredici anni, ma con un’esperienza e un carattere di un uomo adulto. Cinque è sempre stato colui, che fin dal principio, grazie al suo straordinario intelletto, ha sempre condotto i suoi fratelli alla risoluzione finale.
Ma Umbrella a parte, anche i suoi antagonisti hanno avuto una meritevole caratterizzazione.
La Handler (interpretata da Kate Walsh), indimenticata ex signora Sheperd e membro autoritario della commissione Temps (un’agenzia che teneva sotto controllo il continuum spazio temporale) che spesso si trovava ad avere a che fare con Cinque e, ovviamente, con la sempre onnipresente l’Apocalisse. Come se fosse un altro membro dell’Umbrella. La Handler era una donna forte, risoluta, e appunto, con una forte caratterizzazione. E soprattutto, con una presenza scenica tale da essere fin anche ricordata (anche se con un cammeo fugace) nell’ultima puntata.
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Gli antagonisti, se così vogliamo chiamarli, invece, che questa volta hanno avuto il volto e il talento di Nick Offerman e Megan Mullally (vera coppia anche nella realtà), hanno il difetto di diventare delle mere comparse in mezzo alla folla sprecando quindi la loro presenza, smarrendo lungo la strada (in totale sei episodi) la ragione della loro presenza. Vorrei sottolineare, inoltre, che è il loro l’unico siparietto musicale cui la serie ci ha abituato per anni (ricordate “Footloose”?).
Ma se nella terza stagione, il cui ricordo si perde tra uno sbadiglio e un altro, alcuni personaggi facevano un salto di qualità per migliorare il proprio background, in questa quarta alcuni fanno un salto davvero enorme… ma indietro. Creando così una involuzione del personaggio. Facciamo alcuni esempi.
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Luther (Tom Hopper), che sembra più (non voglio essere troppo cattiva) sciocco del solito, pare aver dimenticato la sua dolce mogliettina. Anche se è doveroso ammettere che in sei episodi “Sloane” è stata nominata per tre (forse quattro) volte. Scusa Luther. Ma per tutta la durata di questa ultima stagione il mio pensiero è rivolto verso una ragazza dimenticata. Di tempo ne è trascorso, ok. Ma tu, marito, Luther Hargreeves vuoi cercare almeno di fare bella figura di fronte agli spettatori che hanno seguito la tua storia d’amore (a questo punto inutile) nata durante la terza stagione, rimboccarti le maniche (e non le mutande da spogliarellista) e cercare tua moglie? Lo so, siamo in un altra linea temporale, ma almeno segui Cinque nella metropolitana! Chi ha visto, sa.
Diego, ora sposato con Lila e padre di tre figli, è insoddisfatto della propria vita. Passa le giornate facendo un lavoro ordinario, e insoddisfacente, ricordando i bei tempi pieni di azione che lo appagavano moralmente. Lila (Ritu Arya) infatti, frustrata e inappagata con un marito a cui piace solo lamentarsi, incredibilmente troverà un forte feeling, in una persona davvero inaspettata. Quello tra Lila e Cinque, che fortunatamente sembra aver accantonato l’attrazione verso i manichini, è un rapporto unico. Prima colmo di odio, poi di attrazione. Ed è a loro dedicato l’episodio più interessante e coinvolgente a livello emotivo di questa ultima stagione dell’Umbrella. E per quanto la loro storia aggiunga poco e nulla ai fini della trama, servirà come espediente a Cinque per trovare la soluzione (trovata casualmente aggiungerei). Ma fa niente. L’ha trovata ed è sempre lo stesso Cinque. Solo più affascinante ma molto più fiacco del solito.
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E vogliamo parlare di Klaus? Sulla carta sembrerebbe il personaggio più interessante della serie. Colui che ha la capacità di evocare gli spiriti e comunicare con essi. Durante la seconda stagione era stato il fenomenale capo di una setta, in questa quarta, invece, germofobico ha paura della sua stessa ombra. E, cosa ancora peggiore, è relegato ad una sotto trama così irrilevante da risultare poco interessante (anche se, è sua la frase migliore dell’intera stagione: “vi voglio bene ragazzi, anche se siete tutti dei coglioni”). E soprattutto inutile ai fini della trama. O meglio, utile ad Allison che si evolverà in Super Sayan e aiuterà il fratello. Ma a parte questo livello di super evoluzione di Allison, la storyline di Lila, e lasciatemi dire, l’insostenibile caratteraccio di Ben su cui gli sceneggiatori hanno creato la trama principale, è Viktor (Elliot Page) la vera sorpresa di questa stagione.
Viktor, che in questa nuova linea temporale si è creato una vita soddisfacente, avrà modo di dare sfogo alla propria rabbia verso un padre, che alla fin fine (anche se si era già capito benissimo) non è mai stato un padre. Un uomo che ha preferito scegliere l’umanità piuttosto che la famiglia. Così Viktor non solo contribuirà a combattere per salvare Ben (Justin H Min) che nel frattempo è occupato a fare le fusa a Jennifer ma riuscirà, finalmente, a parlare con il padre che non ha mai avuto.
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Ma, oltre alle caratterizzazioni, c’è altro.
Fortunatamente tutto ha una spiegazione, anche se alla fine non ci piacerà.
Protagonista di questa quarta stagione e parola che vien ripetuta quasi a sfinimento è la “Catarsi”, che si rifà alle origini della serie. E la risoluzione finale, acquista un senso. E il senso lo avremo proprio in Ben e la verità sulla sua morte. Ma non voglio aggiungere nient’altro per non rovinare la sorpresa. Aggiungo solo che alla vista Ben è diventato il trauma di molti. Non per deboli di cuore, insomma. Anche se, è doveroso aggiungere, non è l’unica scena per deboli di cuore… e di stomaco.
Questa quarta ed ultima stagione, realizzata solo ed unicamente (ammettiamolo) per affibbiare un finale alla serie, è quindi dotata di una scrittura davvero molto frettolosa. E fin qui lo abbiamo capito. Ma cosa ancora peggiore, la risoluzione finale, appare fin troppo sbrigativa. Fin anche l’epilogo è privo di pathos. Considerato che siamo di fronte ad una stagione finale con personaggi che in fin dei conti ci hanno fatto anche un po’ compagnia, delude davvero molto.
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