Urban Cowboy, torniamo indietro negli anni ’80 assieme a John Travolta e Debra Winger. Sarà solo un drama romantico?
Reduce dal successo del film “La febbre del sabato sera” (1977) e “Grease” (1978), John Travolta, (dopo aver rifiutato il ruolo che poi andò a Richard Gere in “American Gigolò”), in cui ha sfoggiato le sue raffinate doti da ballerino che lo hanno accompagnato per un’intera carriera (ricordate Pulp Fiction?), alimentate dall’incoraggiamento in tenera età da parte dei genitori, i quali fecero seguire al figlio lezioni di tip-tap, in “Urban Cowboy”, per sua stessa ammissione, il film “più fisico che abbia mai fatto”, prese lezioni coreografiche dall’istruttrice di danza Patsy Swayze, madre di Patrick. Anche se il buon John Travolta, in “Urban Cowboy” non si esibisce solo a passi di danza.
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“Urban Cowboy”, infatti, come suggerisce il titolo, racconta la storia di un ragazzo che, trasferitosi in un’altra città in cerca di una buona occupazione e un lavoro ben retribuito che gli permetta di far carriera, affascinato dalla vita notturna che si consuma nel locale di Gilley’s, un ritrovo per cowboy e cowgirl in cerca di un uomo per poter trascorrere la serata, incontra Sissy, che conquisterà grazie ai suoi profondi occhi blu, la sua sfrontatezza e a passi di danza.
Ma “Urban Cowboy” non è solo un film classe 1980 con protagonista uno tra gli attori più richiesti del periodo, ma un soggetto con una forte critica sociale mascherato solo all’apparenza da drama romantico.
Un film che, a suo modo, descrive uno spaccato di vita americana dove l’operaio, soggetto ad estenuanti ore trascorse nei pericoli di un lavoro ad alto rischio, si rifugia nel bisogno di evadere dalla realtà, cercando conforto nei sogni di gloria. E vivendo nel mito del cowboy.
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Difatti, Bud (John Travolta), trasferitosi nella cittadina di Spur a Houston, grazie all’aiuto di suo zio Bob (Barry Corbin), riesce a trovare un impiego presso una raffineria di petrolio, un lavoro manuale considerato ad alto rischio anche a causa delle esposizioni degli operai ad esercitare il proprio mestiere su piattaforme troppo alte per non andare incontro ad un qualsiasi incidente. Anche mortale.
Ma per Bud Davis tutto questo non è importante. Almeno al principio. Perché Bud è un ragazzo di città, sexy, attivo e volenteroso nel suo lavoro ma, soprattutto, è giovane. E come tutti i giovani uomini cresciuti a pane, birra e country music, è intriso da un’indole patriarcale desiderosa di eccellere a tutti i costi. Anche a costo di dimostrare a sua moglie Sissy (Debra Winger) non solo che è di “sua proprietà” e di nessun altro, ma che è lui l’unico in grado di riuscire a eccellere sul toro meccanico.
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Il toro meccanico, un giocattolo per cowboy rudi e con la pellaccia dura, in grado di far sbraitare la coppia di neosposi Bud Davis e Sissy Davis al locale di Gilley’s. Un espediente che farà capire a Bud testadura Davis cos’è davvero importante nella sua vita. Oltre alla sua pellaccia dura. Lo sa bene Travolta che, per interpretare il giovane “Urban Cowboy”, chiamato così per descrivere quel genere di musica country anni ’80 rappresentato da Dolly Parton (citata nel film grazie ad un concorso di bellezza) e Kenny Rogers, fece installare un toro meccanico nella sua casa per allenarsi a restare in sella invece che a essere sbalzato chissà dove sul set. Travolta divenne così bravo che gli fu concesso di girare le scene senza l’intervento della controfigura.
Curiosità a parte. In questo nostalgico e poco conosciuto film anni ’80, in “Urban Cowboy” siamo testimoni dell’evoluzione di Bud. Si perché Bud, da patriarcale uomo in canotta e rutto libero, non è l’antagonista della storia. Perché sì, John Travolta qui avrà avuto anche un ruolo da vecchio uomo delle caverne, e a volte lo prenderesti a sberle tanto è privo di sensibilità e colmo di machismo, ma Scott Glenn, credetemi, ha un ruolo più che attuale. Anche se il film lo si vede in questo nuovo millennio.
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E infatti qui la critica sociale avviene in maniera dirompente. E il film ottiene un’evoluzione tutta in discesa che cambierà le carte in tavola e il destino dei protagonisti. Bud, finalmente, aprirà gli occhi comprendendo cosa effettivamente ha importanza nella sua vita. Sissy, invece, è attirata sempre più verso quel lato oscuro da cui diventa difficile slegarsi.
Debra Winger, infatti, splendida nel ruolo di Sissy vorrei aggiungere, ha incarnato perfettamente il ruolo di ragazza fragile. Ammaliata da Bud, l’uomo che ama, ma sottomessa dalla bestia, l’ex criminale dal fascino brutale, Wes. Sì, perché prima la seduce e poi la schiavizza e la umilia usando più volte violenza su di lei.
Sissy, ragazza ribelle e tremendamente testarda, ma dominata dall’amore che prova per Bud, sebbene si renda conto che Wes (Scott Glenn) non sia l’uomo per lei, anche se ne è profondamente attratta, si rifugia nell’ostinazione di far ingelosire l’uomo che ama, perdendo di vista la consapevolezza che ha scelto di “giocare” con l’uomo sbagliato. La fragilità di Sissy quindi, forte solo all’apparenza, si rivela piano piano, quando, al primo schiaffo, la ragazza alla fine cade e, sebbene mostri la forza di reagire, cede al mostro che ha di fronte.
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La razionalità di Sissy, infatti, la rende cosciente del fatto che Wes è selvaggio, aggressivo con lei. E infedele. Ma, nonostante questa consapevolezza, Sissy, non riesce a scappare dalla morbosità dell’uomo.
Quindi, “Urban Cowboy” può definirsi un tipico prodotto hollywoodiano anni ’80, dove alla fine il bene trionfa sul male, e il principe Travolta riesce a riavere il cuore della bella principessa. Ma, nonostante la prevedibilità di alcuni avvenimenti, “Urban Cowboy” riesce tuttora ad essere un buon prodotto di intrattenimento e tremendamente attuale.