“Questo attore ha la voce del personaggio X, della serie/del film Y!”
Chi mi conosce anche poco, sa che, prima o poi, durante la visione di qualsiasi cosa, salterò dal mio posto – nella posa tipica, che è ormai diventata un meme, di Leo DiCaprio nei panni di Rick Dalton, nell’ultima fatica di Quentin Tarantino – proferendo questa frase. Non è lontano il giorno in cui rischierò seriamente il linciaggio a causa di ciò, ma è qualcosa di cui non posso fare a meno; si può dire che la mia abilità nel riconoscere i doppiatori su vari personaggi, mi regali una gran quantità di occhiatacce; ma anche di sincero ed entusiasta stupore. Non tutti, infatti, durante la fruizione di un prodotto audiovisivo, prestano attenzione a quello che per me, alle volte, supera addirittura la performance attoriale: il doppiaggio.
Al netto del risultato complessivo che fruiamo su schermo, ci sembra che l’apporto vocale sia marginale, quando non superfluo, non rendendoci conto di quanta importanza abbia la scelta della voce da abbinare ad un determinato attore, perché la sua interpretazione renda al meglio anche in un’altra lingua. Non solo. Si sono dati – e si danno – casi in cui un attore abbia una voce che (come dirla in modo da non offendere nessuno?)… non è conforme al suo aspetto. Per questo, anche in lingua originale, avrà bisogno del prestito di un altro attore. Sì, avete letto bene:
un attore può non essere un doppiatore, mentre, viceversa, per intraprendere la strada del doppiaggio, bisogna saper recitare.
La professione, dunque, non si limita al semplice “fare le voci”, al contrario: come si affanna a ripetere il grande Pino Insegno in ogni episodio di Voice Anatomy (trasmissione dedicata all’argomento, di sua conduzione, che potete recuperare su Rai Play cliccando su questo link), più che la bella voce, contano le belle intenzioni.
Esattamente come ogni altro lavoro, perché è di questo che si tratta, il doppiaggio richiede la sua gavetta e la sua bella dose di sacrifici; pensate di restare per ore in piedi, al buio, a ricalcare con la vostra voce un labiale su schermo, con una voce in cuffia. E – indovinate? – a prodotto finito, la vostra faccia non comparirà.
Sembrerebbe quasi una recitazione a metà, invece è esattamente il contrario, si tratta di un doppio sforzo: riproporre il lavoro di qualcun altro, aggiungendovi il proprio apporto, il quale, spesso, si rivela efficacissimo nel dare caratterizzazione ad attori non proprio carismatici. Oltretutto, dietro al prodotto doppiato, c’è un lavoro corale di rimaneggiamento dei copioni, con relativi traduzione e adattamento, per rendere anche il senso di motti o proverbi che cambiano da lingua a lingua.
Non tutti sono d’accordo nel ritenere il doppiaggio un mezzo valido per il fruire di un’opera, tacciandolo di mistificazione del senso di un prodotto audiovisivo, e preferendogli il sottotitolato.
Al di là dei gusti personali e del fatto che un’altra voce; e di conseguenza, un’altra interpretazione; vadano oggettivamente a modificare le intenzioni di partenza, il sottotitolo compromette notevolmente l’attenzione su ciò che passa sullo schermo, con l’effetto di distogliere l’attenzione dall’opera nel suo complesso. Premesso che ogni medaglia abbia il suo “recto” e il suo “verso”, siamo comunque di fronte ad un mestiere impegnativo e soddisfacente, che ha tanto da… dire. A chi vuole ascoltare, si capisce.
Perciò, nelle prossime puntate, esploreremo un po’ meglio un mondo che io ritengo magico e affascinante, quello delle voci nell’ombra; “pillola azzurra, fine della storia: domani ti sveglierai in camera tua, e crederai a quello che vorrai. Pillola rossa, resti nel paese delle meraviglie, e vedrai quant’è profonda la tana del bianconiglio”… a voi la scelta!
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