Un giocatore d’azzardo con un dono speciale, un ragazzino vittima di due bulli, uno strambo e inquietante disinfestatore e un uomo che deve fare i conti con un pericoloso serpente velenoso. In questo caldo ottobre, Wes Anderson ha deciso di deliziarci con ben quattro nuovi cortometraggi tratti dai racconti di Roald Dahl, già ispiratore di pellicole come “Chi ha paura delle streghe?”, “Matilda 6 mitica” e “Fantastic Mr. Fox” – diretto proprio da Anderson -.
Distribuiti da Netflix in concomitanza con l’uscita nelle sale cinematografiche di “Asteroid City”, i quattro cortometraggi contano un minutaggio che varia da 41 a 17 minuti. Eppure, nonostante avesse a disposizione un tempo ridotto, Wes Anderson riesce a trasmettere perfettamente la sua idea di cinema.
Parlando genericamente infatti, i quattro film sono molto simili tra loro e riflettono l’estetica che ha reso celebre il regista texano. Inquadrature simmetriche, dialoghi energici e un montaggio dinamico in grado di rendere le storie tanto concise quanto chiare.
Leggi – Paperman: il coraggio di sognare in un mondo in bianco e nero
Ed oltre a enfatizzare le doti registiche di Anderson, i quattro cortometraggi – di cui a breve parlerò più nello specifico – possono vantare un comparto tecnico ineccepibile. Dietro alle scenografie, per esempio, si cela il genio di un artista navigato come Adam Stockhausen, vincitore del Premio Oscar per “Grand Budapest Hotel”. E curatore di film come “12 anni schiavo”, “Il ponte delle spie” e “West Side Story” (tra gli altri).
Fedele collaboratore di Wes Anderson fin dai tempi di “Moonrise Kingdom”, Stockhausen è riuscito a creare delle poesie visive che ricordano i migliori spettacoli teatrali. Tanto belle quanto avvolgenti. Quelli dei corti di Anderson sono difatti degli allestimenti scenici tipici della scuola teatrale tanto cara al regista.
Le scenografie si muovono assieme agli interpreti creando un movimento perenne della scena. Passando da un’ambientazione all’altra in pochi secondi. Tuttavia, l’aspetto più interessante dei corti di Wes Anderson sono le sceneggiature.
Leggi – Out: il corto della Pixar a tema LGBTQ+
Difatti, il regista ha avuto la brillante idea di rendere ogni personaggio il narratore della storia. Le scenografie quanto le interpretazioni sono teatro puro. Gli attori interagiscono con il pubblico, sfondando la quarta parete e pronunciando testualmente le parole scritte da Roald Dahl nei suoi racconti.
Ecco quindi che Ralph Fiennes, Benedict Cumberbatch, Dev Patel e Rupert Friend diventano i narratori di un bellissimo omaggio al narratore britannico. Eppure, nonostante lo stile del regista influenzi inequivocabilmente i quattro cortometraggi, rendendoli tanto simili tra loro, le pellicole risultano estremamente diverse.
Di seguito, la Clip dei “La meravigliosa storia di Henry Sugar”.
Invero, “La meravigliosa storia di Henry Sugar”, che vanta una durata di circa 41 minuti, vede tra i protagonisti Benedict Cumberbatch, Sir Ben Kinglsey e Dev Patel è una storia di redenzione. Il tema principale difatti è la presa di coscienza di un uomo ricco ma dal passato piuttosto discutibile. Appassionato di romanzi gialli e con il vizio del gioco d’azzardo, grazie ad un diario trovato per caso in una biblioteca, scoprirà di possedere un dono molto particolare. Ma proprio all’apice del successo deciderà di rinunciare all’avarizia e all’arricchimento personale in favore di una causa molto più nobile.
Divertente e con una morale molto profonda, “La meravigliosa vita di Henry Sugar” colpisce direttamente al cuore trasmettendo il messaggio che il mondo sarebbe un posto migliore se l’umanità decidesse di aiutarsi a vicenda.
Leggi – Charlie Chaplin: dalle prime mimiche alla nascita di Charlot
Ma il vero colpo al cuore arriva con la visione de “Il cigno”, il secondo dei cortometraggi in ordine di uscita. La storia, raccontata attraverso la sensibile interpretazione di Rupert Friend, narra la triste vicenda di un ragazzino dal cervello fino perseguitato da due teppisti. Chiunque abbia subìto del bullismo non potrà non commuoversi nel seguire il racconto del piccolo Peter Watson. Soprattutto dopo aver appreso che l storia è tratta da un terribile fatto di cronaca nera.
Di seguito, la Clip de “Il cigno”.
Eppure, nonostante la brutalità de “Il cigno” e l’amarezza di un triste epilogo, è “Il derattizzatore” il più disturbante dei cortometraggi diretti da Wes Anderson. Protagonista questa volta è un bizzarro disinfestatore, impersonato da un magnificamente truccato, che dovrà affrontare un branco di ratti particolarmente furbi.
Di seguito, la Clip de “Il derattizzatore”.
Ma chi è veramente il killer di roditori portato in scena dal regista texano?
Ebbene, tale personaggio è un emarginato, un rinnegato della società, a caccia di topi da talmente tanto tempo da averne assunto l’aspetto, dimenticando i fondamenti della natura umana.
Anderson ci propone un’opera più cupa rispetto ai suoi standard ma altrettanto autoriale. La storia di un derelitto umano che, dietro al suo aspetto inquietante, più simile ad un topo che a un uomo, è costretto ad adattarsi per sopravvivere ad un mondo che sembra averlo dimenticato.
E se il protagonista de “Il derattizzatore” è un uomo che per lavoro caccia gli animali, ne il “Veleno”, il quarto ed ultimo cortometraggio, sembra avvenire proprio il contrario. Protagonista della storia è un uomo (Benedict Cumberbatch) impossibilitato a muoversi dal letto poiché braccato da un pericoloso serpente che si è addormentato sopra il suo stomaco, in attesa di compiere il proprio attacco e avvelenare la sua preda.
Di seguito, la Clip di “Veleno”.
Al fianco del malcapitato ci sono un suo caro amico (Dev Patel) e un medico indù (Sir Ben Kingsley), che escogiteranno uno stratagemma per salvarlo. Ma per quanto l’episodio sia febbrile e mantenga un altissimo livello di ansia, sono i minuti finali e quell’improvviso scoppio di una rabbia tanto cieca quanto ingiustificata è ciò che rende “Veleno” un’opera completa.
In conclusione, nel suo omaggio a Roald Dahl, Wes Anderson riesce a comprimere cinema, teatro e letteratura, creando quattro cortometraggi dal perfetto stile autoriale destinati a segnare indelebilmente la storia del cinema