L’influenza culturale di Woodstock.
Come l’Uragano Camille, che per inciso colpì l’America pochi giorni dopo la fine del grande raduno, Woodstock lasciò un segno indelebile negli Stati Uniti. Invero, il mondo musicale internazionale, quanto quello politico e culturale, non fu più lo stesso una volta finito il festival. Il che potrebbe apparire incredibile se si pensa che nel giro di soli due anni dopo Woodstock vennero a mancare artisti come Jimi Hendrix, Janis Joplin e Jim Morrison, lasciando un vuoto incolmabile nel panorama musicale.
Eppure, nonostante la scomparsa di simili icone musicali (due delle quali parteciparono a Woodstock), fu proprio il mondo dei concerti dal vivo a subire maggiormente l’influenza del raduno.
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Mentre la cultura hippie dilagava più fiorente che mai (prima di giungere ad un inevitabile declino) e dopo la proclamazione del primo Earth Day, che diede inizio al più grande movimento ambientalista a livello mondiale, la musica live iniziò a raggiungere livelli mai toccati prima di allora.

Nonostante alcuni giornali come il New York Times, avessero definito il raduno di Woodstock come un’aberrante manifestazione, sempre più persone si appassionarono e presero parte ai concerti. Per assurdo (per esempio), è probabile che George Harrison non sarebbe riuscito a radunare oltre 40.000 spettatori al concerto per il Bangladesh, che si tenne a New York il 1 agosto del 1972.
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Ma quel che è certo, è che se Woodstock non avesse raccolto un simile successo, arrivando addirittura a consacrare riviste come Rolling Stone, East Village Other e il Village Voice, molti altri festival non avrebbero mai visto la luce del sole (o la luce dei riflettori).
Il più famoso di essi fu il Festival dell’Isola di Wight, ancora ricordato come la Woodstock Britannica. Dopo il flop del 1968, che attirò appena 10.000 persone, rischiò seriamente di non essere rinnovato. Ma il successo del raduno statunitense convinse gli organizzatori a organizzarlo nuovamente, invitando artisti come Joe Cocker, Richie Havens e gli Who, tutti e tre reduci di Woodstock. Ma, soprattutto, Bob Dylan.

Ebbene si. L’uomo che declinò con tanto aspra considerazione il raduno americano accettò di esibirsi al Festival dell’Isola di Wight (che ebbe luogo poco dopo Woodstock). Non c’è bisogno di specificare il successo che riscosse questa volta la rassegna musicale britannica. E per quanto la controcultura rock avesse raggiunto l’apice grazie a Woodstock e Wight, pochi mesi più tardi, in occasione dell’Altamont Festival, il sogno si trasformò in un incubo.
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Organizzato dai Rolling Stones, i grandi esclusi di Woodstock, Altamont avrebbe dovuto essere la riprova che il rock era in grado di unire il mondo sotto la bandiera della pace. E invece, a causa di una serie di scelte discutibili, si rivelò essere un guazzabuglio di caos e violenza. La security dell’evento venne affidata agli Hell’s Angels, una gang di motociclisti che, oltre a presentarsi armata di stecche da biliardo da usare come bastoni contro la folla, non perse l’occasione per imbottirsi di alcol.
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Gli scontri che ne derivarono furono violentissimi e a farne le spese furono i gruppi invitati ad esibirsi. I Grateful Dead, per esempio si rifiutarono di suonare e abbandonarono il festival. Mentre i Jefferson Airplane furono costretti ad interrompere il concerto dopo che il chitarrista e cantante Marty Balin venne ferito da un motociclista ubriaco.

Ma Altamont raggiunse il culmine dell’orrore quando, mentre i Rolling Stones stavano intonando “Under My Thumb”, gli Hell’s Angels uccisero un diciottenne afroamericano che rispondeva al nome di Meredith Hunter.
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Tuttavia, nonostante il disastro di Altamont, l’influenza di Woodstock riecheggia ancora oggi grazie alle innumerevoli commemorazioni, al museo di Bethel Woods e, soprattutto, grazie ai due raduni musicali più longevi di sempre, ossia il Summerfest di Milwaukee (conosciuto anche come The Big Gig), che ogni anno termina il 4 luglio (l’Indipendence Day). E il festival di Glastonbury, in Gran Bretagna, che conta oltre 150.000 partecipanti ad ogni edizione.
Ma Woodstock non cambiò solamente il mondo della musica. Invero, il messaggio di pace lanciato dal festival e dai suoi artisti, il famoso “fate l’amore e non fate la guerra”, riecheggiò per anni negli Stati Uniti. E non solo. Sempre più furono coloro che si schierarono contro la Guerra in Vietnam. Le marce di protesta aumentarono vertiginosamente e l’America venne invasa da gruppi e associazioni pacifiste.
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Ma continuiamo a parlare di alcune storiche esibizioni.
1 – Mentre i Creedence clearwater revival suonarono “solo” per un tizio con un accendino acceso perché mezzo milione di persone stavano dormendo, “Sly & the family Stone”, smossero letteralmente la platea. Grazie al suond Soul del gruppo, che avrebbe dovuto esibirsi attorno alle 22 e non alle 4 del mattino, la gente iniziò ad uscire dai loro sacchi a pelo, pronti a scatenarsi con la loro musica dal ritmo coinvolgente. Distrutti da musica non stop, stanchi, pieni di fango a causa della pioggia, affamati. Nonostante tutto, la gente iniziò a ballare la musica di “Sly & the family Stone”.
2 – Se per qualcuno Woodstock è stata una vera e propria esperienza trascendentale da ricordare per tutta la vita, come l’esibizione di Richie Havens, Melanie Safka, Carlos Santana, per altri è stato un incubo. Un’esperienza da dimenticare. Non per l’esibizione (rimase tra le più apprezzate del festiaval), quanto per l’atteggiamento di Pete Townshend, il chitarrista del gruppo. Durante la loro esibizione, l’attivista e politico Abbie Hoffman interruppe i “The Who”.
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Agguantando il microfono iniziò a lamentarsi per l’arresto di un amico che aveva cercato di vendere marijuana ad un poliziotto. Inutile aggiungere che il gruppo fu infastidito dall’interruzione. Così tanto che Pete Townshend pare che colpì Hoffman con la sua chitarra per poi buttarlo giù dal palco.
3 – I Jefferson Airplane, che avrebbero dovuto chiudere il concerto della serata di sabato, si esibirono alle 7:00 del mattino seguente. Inutile aggiungere che sia la band, che aveva fatto festa la sera prima, che il pubblico, erano in catalessi. Dormivano tutti in piedi. Nonostante questo, la band suonò, anche se non al loro meglio.

4 – Famoso nella sua Inghilterra dove aveva scalato le classifiche con la sua “With a Little Help From My Friends”, negli Stati Uniti era praticamente uno sconosciuto. Salito per primo sul palco di Woodstock per il terzo giorno, Joe Cocker che aveva a malapena suonato per qualche centinaio di persone in un bar, e una partenza un po’ tiepida, conquistò il pubblico grazie alla sua voce roca ma potente e con un pezzo di Ray Charles, “Let’s Go Get Stoned”. Joe Cocker smise di suonare. Arrivò un temporale e un vento tale da sfiorare gli 80 km orari. Quando, nel tardo pomeriggio tra fango, fame, minacce di bronchiti, influenze e tanta voglia di musica tutto si acquietò. Ma era molto chiaro che la musica avrebbe continuato. Erano ancora tutti lì in attesa che qualcuno salisse sul palco.
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5 – Jimi Hendrix, si esibì lunedì mattina, tra le 9 e le 11, mezza giornata dopo che era la fine ufficiale del festival. Quando ormai in molti avevano già iniziato il viaggio di ritorno. Ed era stato proprio il manager di Hendrix ad insistere affinché Jimi chiudesse il festival. Ma nonostante il pubblico restante non avesse niente a che vedere con l’enorme platea che aveva folgorato molti artisti in precedenza, Jimi Hendrix si esibì in una delle migliori performance della sua carriera.
“Foxy Lady”, “Gypsy Woman”, “Hey Joe”, furono solo alcune delle canzoni che Jimi eseguì su quel palco. Ma la vera sorpresa fu la versione dell’inno americano suonata alla chitarra.
Nello scorrere del Festival, ci furono moltissimi disagi dovuti al traffico incessante che aveva bloccato per strada, e quindi impossibilitati ad arrivare per tempo, molti cantanti previsti in scaletta. E anche la pioggia decise di fare la sua parte. Durante la prima serata, infatti, Ravi Shankar, il maestro del sitar, si trovò costretto ad abbandonare la sua esibizione dopo appena 35 minuti.
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Previsti in scaletta erano i “The incredible string band”, che avrebbero potuto improvvisare una performance acustica ma si rifiutarono di salire sul palco perché i loro strumenti elettronici si sarebbero danneggiati. Così, l’alternativa era suonare il giorno successivo. Peccato che la loro esibizione risultò essere poco memorabile anche a causa di molte altre esibizioni decisamente più coinvolgenti.
Woodstock si ritrovò ad essere quindi, un evento memorabile, ricordato per decenni e impresso nella memoria collettiva. La fortuna di molti, come per Melanie che salì sul palco la prima sera al posto del gruppo “The incredible string band” e che trovò la propria notorietà proprio grazie al festival e la la sfortuna di altrettanti.
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Ma, al di là dell’evento in sé che, come scritto nel titolo, ha definito una generazione, il festival per moltissimi artisti, si rivelò essere un vero e proprio disastro. Il palco pericolante, la pioggia incessante, le scosse elettriche, il fango. Le troppe persone che avevano raggiunto il festival avevano impedito la fluidità del traffico in strada.
E l’impossibilità per molti di poter raggiungere qualsiasi luogo. La scaletta prevista si stravolse così tanto da permettere ad alcuni artisti non previsti di suonare più volte, come “Country Joe & the Fish”. Oppure di suonare quando tutto il pubblico, sfinito, oramai stava dormendo. O come John Sebastian, usato da tappabuchi e che fece un semi disastro dimenticandosi le parole dei suoi testi.
Quei giorni di libertà, pace e amore, colmi di musica, ma anche di droga, alcol, sesso, nudità, rimarranno impressi nella storia, perché Woodstock fu la massima espressione di libertà mai vista prima di allora. E, soprattutto, di NON violenza. Quei tre giorni previsti si trasformarono in quattro, ma rimarranno impressi nella storia.