Woodstock fu il più importante raduno musicale del 1900. Tre giorni di musica e pace, con gruppi leggendari e, naturalmente, qualche inevitabile imprevisto.
Nel corso dei decenni, pochi eventi hanno avuto l’ardire di cambiare e segnare indelebilmente la storia della musica. L’avvento di Elvis e della sua musica e la pubblicazione del suo primo album in studio, “That’s All Rock”, avvenuto il 5 luglio del 1954. Il primo concerto retribuito di Bob Dylan, che il 5 aprile del 1961, con la sua chitarra, sconvolse tutti i presenti esibendo uno stile unico e una musica elettrica mai sentita prima di allora.
Ma ovviamente, se si parla di storia della musica, il primo grande evento che riesce a farsi spazio nelle nostre abili menti, è senza dubbio il Festival di Woodstock,. Tenutosi in una fattoria a Bethel, poco fuori dallo stato di New York, dal 15 al 18 agosto del 1969.
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“Tre giorni di pace e musica” scrissero i giornali dell’epoca per pubblicizzare l’evento. Ma mai nessuno avrebbe potuto immaginare che tale rassegna musicale avrebbe raggiunto proporzioni tanto immense. Eppure, quello di Woodstock non fu il primo grande festival musicale, sebbene sia stato senza dubbio il più importante. Il più ricordato.
Invero, fu dopo il grande raduno del 1967 , ricordato come Monterey Pop Festival a rendere celebri i festival all’aperto. Riconosciuto come uno degli apici del movimento Hippie si svolse dal 16 al 18 giugno e ospitò artisti come i The Who, i Mamas & Papas e i Jefferson Airplane. Per non parlare poi del debutto di Janis Joplin, che all’epoca faceva parte dei Big Brothers and the Holding Company.
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Un anno più tardi 40.000 persone si diressero a Miami allo scopo di ascoltare artisti come Steppenwolf, Chuck Berry e i Three Dog Night (per citarne alcuni).
Ma allora, perché tutti quanti considerano Woodstock il più importante dei festival all’aperto. Nonché l’apice della cultura Hippie e uno dei punti di svolta della storia musicale?
Oltre al numero di partecipanti, per il quale ancora oggi si ricorda come il più grande raduno della storia, Woodstock venne organizzato in un momento molto particolare per gli Stati Uniti d’America.
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Molti infatti erano stati gli eventi che avevano cambiato la storia del Paese. Dall’allunaggio di Neil Armstrong e Buzz Aldrin all’elezione di Richard Nixon come 37esimo Presidente. Inoltre, soltanto un anno prima, più precisamente il 4 aprile del 1968, Martin Luther King, un pastore proveniente da Atlanta e principale leader del movimento per i diritti civili degli afroamericani, nonché Premio Nobel per la Pace (1964), era stato assassinato a Memphis.
Ma, soprattutto, il Festival di Woodstock si prefissò l’obiettivo di trasmettere un messaggio di pace e amore proprio nel momento in cui la Guerra in Vietnam aveva raggiunto il suo apice.
Chiunque fosse considerato abile era costretto ad arruolarsi. E, nella maggior parte dei casi, a partire per l’Asia senza essere certo di un ritorno in patria.
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Il 16 marzo del 1968, una fazione della fanteria dell’esercito americano uccise oltre cinquecento civili inermi e disarmati in quello che viene ricordato come “il massacro di My Lai”. E un anno più tardi i bombardieri americani fecero calare le loro bombe sulle postazioni vietnamite in Cambogia.
In questo clima bellico si riunirono quindi decine di artisti per decantare l’importanza della pace. E, soprattutto, per manifestare tutta l’indignazione del popolo americano contro una delle più aberranti e atroci guerre mai combattute dall’umanità.
1 – Era il 1 5 agosto del 1969, quando, alle cinque del pomeriggio, con un ritardo di oltre due ore e cinquanta minuti sulla tabella di marcia, Richie Havens, che avrebbe dovuto essere il quinto in scaletta, aprì il concerto al festival di Woodstock in sostituzione del gruppo musicale “Sweetwater”, bloccati nel traffico a causa degli ingorghi stradali creatosi sulla strada verso Bethel, il luogo del concerto. Originariamente avrebbe dovuto eseguire solo quattro brani. Ma si prestò volentieri ad intrattenere il pubblico in attesa degli artisti che avrebbero dovuto raggiungere il luogo del concerto.
Oltre ai suoi pezzi di stampo folk-rock e soul, cantò anche qualche cover dei Beatles. E poi, non avendo nient’altro da suonare, cantò “Freedom”. Un brano che trovò la sua improvvisazione sul palco di Woodstock, divenne uno dei molti inni di quei giorni indimenticabili.
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2 – In mezzo ad un mare di musica e balli e amore libero, arrivò anche il guru Sri Swami Satchidananda, tra gli esponenti religiosi e filosofici di maggior rilievo della cultura indù e delle discipline di meditazione. E, chiedendo di poter salire sul palco di fronte a quella marea di persone che altro non volevano sennò la musica e la pace nel mondo, in attesa che gli artisti previsti in scaletta arrivassero, Sri Swami Satchidananda parlò per dieci minuti dell’importanza della musica e di pace e amore. Di quanto, tutti i presenti grazie al suono, grazie alla musica, possono avere il potere di cambiare il mondo. E, con i suoi discepoli, guidò tutti i presenti a recitare il mantra “Hari Om”.
3 – La prima Standing ovation del festival la ottenne Bert Sommer. Il cantautore, si fece conoscere per la presenza nel musical di Broadway “Hair”. Woodstock sarebbe stata un’esibizione che avrebbe ricordato per sempre (anche se, pover’uomo, morì molto giovane all’età di quarant’anni).
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All’età di vent’anni salì sul palco cantando “Jennifer”, dedicata alla cantante Jennifer Warners, con la quale aveva recitato nel famoso musical. Come ottava canzone presentata sul palco, il giovane cantautore presentò una cover di “America” di Simon & Garfunkel. La dolcezza con cui Sommer cantò la canzone, non lasciò indifferente il popolo di Woodstock, che si alzò in piedi, estasiato.
4 – Per Melanie Safka l’esibizione a Woodstock fu memorabile, tanto da lanciare la sua carriera. Attraversando un percorso a ostacoli per riuscire a salire su quel palco perché era solo una cantautrice folk sconosciuta, l’esibizione al festival lanciò la sua carriera. Ignara della folla che si era creata quella sera, Melanie arrivò assieme a sua madre, che però dovette lasciare una volta salita su un alicottero che l’avrebbe condotta al festival.
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Una volta raggiunto il palco, in mezzo alla pioggia che aveva impedito ad alcuni artisti di esibirsi, fu avvolta da una distesa enorme di candele che di fronte a lei iniziarono ad illuminarsi. Anni dopo, grazie a quella magnifica esperienza, Melanie Safka pubblicò “Lady Down (Candles in the rain).
5 – Il 16 agosto all’1:30 del mattino Joan Baez, chiuse la prima serata con la canzone “We Shall Overcome”, l’inno ufficioso del Movimento per i diritti civili. Baez diede prova del perché il festival ebbe ragione di esistere: musica, unione, politica, libertà di parola e di pensiero.
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Incinta di sei mesi, salì su quel palco a tarda sera e sfoderò un repertorio di una decina di canzoni, quali “Joe Hill”, “Swing Low Sweet Chariot”, “I Shall be released”…Ma, incredibilmente, non fu l’unica esibizione che Joan Baez fece a Woodstock. Una volta che la cantautrice venne a conoscenza che era stato allestito un palco per coloro che non avevano il biglietto e che, se lo desideravano, potevano prendere un microfono ed esibirsi liberamente. Così Joan, prima della sua storica esibizione a Woodstock, decise di esibirsi anche per coloro che non avevano avuto la possibilità di assistere al festival. E la cosa più interessante, è che fu l’unica a farlo. Per quaranta minuti.