Lo confesso: ero partito prevenuto, convinto che si trattasse di un polpettone. E invece no. Assolutamente no. “L’incredibile storia dell’isola delle rose” è un film che fa riflettere, non annoia, diverte e fa fare un bel giro in una pagina di storia italiana, ad oggi poco conosciuta.
Siamo nel 1968, tra Bologna e Rimini. I venti dei movimenti di protesta si fan sentire, ma nella riviera romagnola sono ben lontani dai toni accesi e di piazza che infiammano l’Europa. Ed è proprio un sessantottino il protagonista della vicenda, l’ingegnere idealista Giorgio Rosa. Deluso dal mondo attuale, è stanco dell’ambiente borghese che lo circonda e altrettanto angosciato di finire a lavorare per tutta la vita al servizio di aziende con grandi fatturati e poca libertà. Una vera prigione per lui, innamorato di una ragazza in procinto di sposare un altro uomo e deciso a mettere il proprio sapere ingegneristico al servizio della creatività.
Decide dunque di creare da zero uno stato indipendente, fondando una propria isola in acque internazionali (si dice per far colpo sulla sua amata, che infatti…), a pochi chilometri di distanza dalla costa italiana. Lo farà, supportato da una manciata di folli (o sognatori) come lui, diventando un vero e proprio caso internazionale.
Si doterà anche di una bandiera, di un lingua (l’esperanto), di una moneta e di francobolli e, ovviamente, di un nome (Repubblica Esperantista dell’Isola delle Rose – Esperanta Respubliko de la Insulo de la Rozoj, in esperanto), creando non pochi grattacapi allo Stato italiano, al Vaticano, all’ONU e al Consiglio europeo. Non vado oltre per non spoilerare ma qualcosa voglio dirlo. In primis, la regia di Sydney Sibilia è fresca, vintage e moderna nel contempo.
Salernitano, classe 1981, prima di arrivare al successo è stato animatore turistico e dipendente di un fast food. E, fortunatamente per noi, è riuscito a farsi strada nel mondo del cinema grazie soprattutto al successo di “Smetto quando voglio”, suo primo lungometraggio (e primo capitolo di una trilogia) che ha riscosso ampio successo di pubblico e critica (pioggia di nominations ai David e Ciak d’oro come regista esordiente).
Grazie anche alla splendida fotografia un po’ seppiata di Valerio Azzali, “L’incredibile storia dell’isola delle rose” riesce a catapultarci in quegli anni di cambiamento, utopia, desiderio di costruire un mondo migliore.
In secondo luogo il cast, davvero azzeccato: Elio Germano è perfetto, in rivoluzionario idealista che il mondo nuovo vuol costruirlo da sé. Oramai è più che una certezza per il nostro cinema e sorprende per versatilità. Luca Zingaretti e Fabrizio Bentivoglio, rispettivamente il Premier Giovanni Leone e il Ministro Franco Restivo, sono irresistibili. Bentivoglio riesce inoltre nella non semplice impresa di far ridere e comprendere i meccanismi più torbidi della nostra politica.
Che bella scoperta, questa Isola delle rose. E il suo creatore è davvero riuscito nel suo intento: quello di far sognare milioni di persone grazie alla forza della sua utopia, che gli è sopravvissuto. Molti dicono che alla base ci fossero in realtà motivazioni economiche, che fosse interessato a creare un caso turistico e a vendere, il quello stato improvvisato, carburante privo di accise. Chissà, forse un fondo di verità c’è. Forse il film edulcora e romanza. Ma un fatto resta incontrovertibile: senza genialità, senza ribellione, lentamente ci adagiamo, ci accontentiamo, ci dotiamo di sovrastrutture che alla fine legittimano il nostro stato di inerzia. Ed invece è così bello provare a cambiare il mondo, vivere e non lasciarsi semplicemente scorrere il tempo addosso.
Chissà se in tempi prepandemici avrebbe trovato una distribuzione cinematografica. Nel caso, ci scommetto, avrebbe ottenuto gran successo al box office. L’augurio è quello di ritrovarlo tra le candidature di premi nazionali e non. Lo merita davvero.
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