Basile, Perrault, i fratelli Grimm, Walt Disney! Le versioni della bella addormentata sono moltissime, e non sempre idilliache.
Tutti noi conosciamo e amiamo la storia di Aurora, la bella principessa che nel giorno del suo primo compleanno venne maledetta da Malefica, la perfida strega offesa perché era l’unica del reame a non essere stata invitata ai festeggiamenti. “Quando compirà sedici anni, ella si pungerà con la punta di un arcolaio e morrà”.

Come ben sappiamo, ovviamente, grazie alla protezione delle tre simpatiche fatine (Flora, Fauna e Serena), Aurora, divenuta una ragazza bella e coscienziosa, seppur vittima del destino ordito da Malefica, non morirà ma cadrà invece preda di un sonno profondo.
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Tuttavia, la maledizione sarà spezzata dal suo amato, nonché promesso sposo, il principe Filippo. Anche se questi, prima di poter baciare e quindi liberare la sua bella, dovrà farsi coraggio e affrontare un drago e superare una foresta di rovi. Ma, trattandosi di uno dei più celebri Classici Disney, ossia “La bella addormentata”, non poteva certo mancare il lieto fine, in cui l’eroe salva la donzella in pericolo per poi coronare il loro sogno d’amore. Ovvero ballare, sulle note dell’adattamento di Cajkovskij.
Tutto è bene, quel che finisce bene, insomma. Ma, ovviamente, Walt Disney non attinse ad una sceneggiatura originale per la realizzazione della sua creatura. Esistono infatti altre versioni della celebre fiaba adattata da Walt Disney e dai suoi collaboratori. Versioni molto antiche, anche disperse nel tempo, in cui il sonno profondo della Bella Addormentata non è, per così dire, molto pacifico. E al principe non basta un semplice bacio per risvegliare la sua futura dolce metà.
Invero, la prima versione della fiaba risale a molto, davvero molto tempo fa. Ai tempi in cui i menestrelli vagavano di villaggio in villaggio e narravano storie. E queste storie, rimanevano impresse nelle menti curiose e mutavano nel corso dei secoli. La prima versione arriva dalla Francia e risale alla prima metà del 1300. Narrato da uno scrittore anonimo, il romanzo cavalleresco diviso in sei parti “Perceforest”, è ambientato nella Gran Bretagna dell’epoca pre-romana, ossia nella stessa epoca in cui i greci e i troiani si davano battaglia a causa della bella Elena. E credetemi. Il tutto si sviluppa in maniera molto più immorale e macabra rispetto alla versione idilliaca a cui ci ha abituato la Disney.
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La vicenda narra le gesta di Zellandina, una giovane e avvenente principessa innamorata del prode Troilo. Quest’ultimo, prima che gli venga concessa la mano della fanciulla, deve dimostrare il proprio valore e affrontare una pericolosa missione affidatagli dal Re, il padre della bella Zellandina.
Durante l’assenza del principe, accade però che la candida fanciulla si punga con un fuso il cui filo usato per tessere si trovi sotto un funesto maleficio. E la povera Zellandina, si troverà a cadere così in un sonno profondo simile alla morte. A quel punto il Re decide di privarla dei suoi indumenti e condurla sulla cima di una torre del suo castello, in attesa del ritorno di Troilo.
Tornato in patria, il prode guerriero viene informato della disgrazia. Troilo decide quindi di scalare la torre e, con l’aiuto della Dea Venere e del Demone-Folletto Zeffiro, salvare la sua amata Zellandina. Ma una volta giunto sulla cima del palazzo, trovandosi di fronte al corpo denudato della fanciulla, il principe, indotto anche dalla presenza di Venere stessa, cede ai suoi impulsi primordiali. Deciderà purtroppo di giacere nel letto assieme a lei, possedendola mentre si trova ancora in stato dormiente.
Da tale rapporto viene concepito un bambino che, nel giorno della sua nascita, rimuove il filo maledetto che teneva prigioniera Zellandina, liberandola così dall’amara dannazione.
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In seguito, fu Giambattsita Basile a raccontarci la sua versione de “La bella addormentata”. Nel racconto dello scrittore napoletano, infatti un re diventa il fortunato padre di una bellissima bambina che decide di chiamare Talia. Al settimo cielo per la nascita della sua piccola, il sovrano decide di convocare tutti gli indovini del regno per conoscere il di lei futuro.
Tuttavia l’incontro non va esattamente come aveva previsto. Invero, ogni indovino giunto nello sfarzoso palazzo concorda sul fatto che sulla piccola Talia gravi una tremenda maledizione, secondo la quale ella troverà la morte a causa di una lisca di lino. Terrorizzato da tale predizione, il re decide quindi bandire dal proprio regno qualsiasi cosa possa rappresentare una minaccia per l’adorata figlia. Un’accortezza che però non basta per salvare la vita della figlia.
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Una volta cresciuta, divenuta una ragazza bella e diligente, Talia fa la conoscenza di un’anziana e bizzarra signora che porta costantemente con sé un vecchio fuso. Incuriosita, la ragazza stringe così amicizia con l’anziana signora, e a quel punto la disgrazia si compie. Talia si punge il dito con una lisca di lino e, proprio come predetto da ogni indovino del regno, perisce. Sconsolato, avvilito e distrutto dal dolore per la perdita della figlia, il re decide di conservarne il corpo in una delle stanze del castello, serrando tutte le porte e abbandonando per sempre la sua sfarzosa dimora.
Passano i mesi, il castello viene lentamente avvolto dall’edera e dalle erbacce, e la storia della principessa Talia viene dimenticata. Fino a quando un sovrano proveniente da un altro regno, impegnato in una battuta di caccia, si imbatte nella fatiscente dimora. Attratto dalla diroccata fortezza, il re decide di esplorarla e, una volta giunto nella stanza dove riposa Talia, rimane abbagliato dalla sua bellezza.
Decide quindi di giacere con lei, anche se priva di sensi. Dopo, tornato nel suo regno, ignaro che da quel rapporto illecito, nove mesi più tardi sarebbero nati due gemelli, un maschio e una femmina. E proprio uno dei due bambini sarebbe stato l’artefice del risveglio di Talia. Invero, affamato e in cerca del seno materno, il piccolo cominciò a succhiare il dito con cui anni addietro la madre si era punta toccando il fuso, rimuovendo così la lisca di lino che la teneva in uno stato di sonno perenne.
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Talia inizia così una nuova vita assieme ai suoi due bambini. E quando il re torna a farle visita, per quanto stupito nel vederla sveglia e con i pargoli in braccio, decide di trascorrere del tempo con loro, battezzando i figli con i nomi di Sole e Luna. Tuttavia l’idillio famigliare ha vita breve, poiché, dopo il ritorno del re nella sua terra, con la promessa che sarebbe tornato a prendere Talia e i bambini, la regina riesce a scoprire a scoprire il tradimento del marito, progettando così una macabra vendetta. Invero, questa ordina ad un servo di trovare Sole, Luna e Talia e di portarli a palazzo, per poi consegnare i piccoli al cuoco in modo da cucinarli e servirli come pasto al re, ovvero suo marito.
Tuttavia, incapace di compiere un gesto tanto orribile, il cuoco decide di nascondere le due innocenti anime, servendo al re della semplice selvaggina. Scoperto l’inganno, la regina va su tutte le furie e, in assenza del marito, ordina che Talia venga arsa viva. Ed è solamente grazie al ritorno improvviso del re che la fanciulla ha salva la vita, mentre, al contrario, la regina viene condannata a morte. A quel punto, Talia e il suo amato possono sposarsi, vivere felici e contenti e veder crescere i loro bambini.
Circa novant’anni più tardi, alla fine del 1600, fu lo scrittore parigino Charles Perrault a rielaborare la storia de “La bella addormentata”, ispirandosi alla fiaba di Basile e rendendola molto, ma molto meno macabra.
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Protagonista de “La belle au bois dormant” è la figlia di un re e di una regina che, per celebrare la nascita della loro piccola, organizzano una grande festa, alla quale partecipano le sette fate del regno. Queste, grazie ai loro poteri magici, donano alla bambina grazia, beltà, talento e intelligenza. Ma prima che i festeggiamenti giungessero al termine, nel castello fece irruzione un’ottava fata, che tutti credevano morta. Irritata per essere stata l’unica persona in tutto il regno a non essere stata invitata alla festa, la fata riversò tutta la sua rabbia sulla piccola appena nata, pronunciando una maledizione secondo la quale, una volta raggiunta l’età da marito, la principessa si sarebbe punta con la punta di un fuso e sarebbe morta. Convinta di essersi presa la giusta rivincita per l’esclusione dai festeggiamenti, la perfida maga si dileguò nel nulla, lasciando sconfortati e confusi tutti gli invitati.

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Per sua sfortuna però, una delle sette fate non aveva ancora avuto modo di offrire il proprio dono. La fatina decise quindi di donare la speranza al re e alla regina. Non avendo infatti abbastanza potere per annullare il maleficio lanciato dalla perfida strega, la fatina elaborò un contro incantesimo. Così, invece di perire, la principessa sarebbe semplicemente caduta in un sonno profondo da cui, una volta passati cento anni, si sarebbe risvegliata grazie all’amore di un principe prescelto dal destino.
A ben poco servì l’editto del re che, impaurito dal presagio della perfida strega, decise di bandire tutti i fusi dal proprio regno. All’età di sedici anni difatti, la giovane principessa si inoltrò in una delle torri del castello dove incontrò un’anziana signora che, ignara dell’ordine proclamato dal sovrano, lavorava con l’ultimo fuso rimasto nel reame. Incuriosita la principessa si avvicinò e quando decise di provare quello strano fuso mai visto prima si punse involontariamente. E così la maledizione si compì e la fanciulla cadde vittima del sortilegio pronunciato anni addietro.
Disperato ma memore del contro incantesimo della fata, il re adagiò la propria figlia in un letto ricamato di oro e argento situato nell’ala più bella e lussuosa del palazzo. Intenzionate a proteggere la principessa le sette fate buone crearono una fitta rete di arbusti attorno al castello con lo scopo di addormentare tutti coloro che in quel momento si trovavano all’interno del palazzo. Tutti tranne il re e la regina che, non potendo sopportare la perdita della figlia, decisero di abbandonare per sempre la loro dimora.
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Passati cento anni, un avvenente principe che si trovava a vagare nei pressi del castello, decise di chiedere ai popolani cosa si nascondesse all’interno di quella foresta di arbusti. Il giovane venne così a conoscenza dell’esistenza della principessa dormiente e, incuriosito da tale vicenda, decise inoltrarsi tra i rovi per raggiungere la fanciulla. Un’impresa che si rivelò essere tutt’altro che ardua poiché, essendo lui prescelto dal fato, bastava la sua semplice presenza a far dissolvere quei rovi, aprendogli così la strada verso il luogo di riposo della principessa.
Una volta giunto nella stanza il principe rimase incantato dalla bellezza della ragazza che giaceva nel letto di oro e argento. E una volta che si fu inginocchiato accanto al lussuoso giaciglio l’incantesimo fu spezzato e la principessa, assieme a tutti gli abitanti del castello, si svegliò dal sonno che la attanagliava da cento anni.
Tra i due, ovviamente, nacque subito un amore profondo dal quale, dopo il matrimonio, nacquero due figli, Aurora e Sole.

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Tuttavia, prima di potersi godere la serenità della famiglia e la felicità del loro amore, i due giovani dovettero fare i conti con la perfida madre del principe che altro non era che un’orchessa divoratrice di bambini. Per anni i due innamorati tennero nascosta la loro relazione ma quando il padre del principe venne a mancare, lasciando in eredità al figlio un regno da governare, il principe e la principessa, assieme ai loro figli, furono costretti a trasferirsi, in veste di re e regina nel castello dove dimorava anche l’orchessa. Questa, infuriata per l’arrivo dei nuovi regnanti, approfittò dell’assenza del figlio per tendere una trappola alla nuova regina.
Ordinò quindi al cuoco che gli venisse cucinata una cena con i corpi esanimi della nuora e dei nipotini. Incapace di compiere un simile atto, il cuoco decise di nascondere la regina, Aurora e Sole nella sua umile dimora, in attesa che il re tornasse per sventare il pericolo. Tuttavia, venuta a sapere della disonorevole mancanza del cuoco, ben presto l’orchessa cominciò una caccia sfrenata per trovare le sue vittime designate, e solamente il ritorno tempestivo del re, che uccise la madre affamate di carne umana, riuscì a portare in salvo la sua amata e i loro due bambini.
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Poco più di un secolo più tardi, nel 1815, furono i fratelli Grimm ad includere la fiaba de “La bella addormentata” nella loro raccolta di racconti. Tuttavia, Jacob e Wilhelm si limitarono a tagliare la parte che Perrault aveva dedicato allo scontro con l’orchessa divoratrice di bambini, presentando una storia che, escludendo qualche piccolo particolare, era davvero molto simile a quella dello scrittore francese.
Fermandosi a riflettere, risulta sempre più evidente quanto sia paradossale l’evoluzione della trama della principessa dormiente. Nelle versioni più recenti infatti, compresa anche la trasposizione cinematografica targata Disney, il principe infine è l’eroe, l’intrepido cavaliere senza macchia e dall’animo puro che salva la bella addormentata grazie alla forza del suo amore per lei. Ma, nella storia di “Troilo e Zellandina” e di “Sole, Luna e Talia”, il principe rappresenta l’allegoria del male, essendo colui che si approfitta di una donna esanime e quindi in condizioni in cui la donna, la fanciulla non può opporre alcuna resistenza. Se per Perrault, i fratelli Grimm e Walt Disney il principe è l’anima eroica che porta in salvo la damigella in pericolo, per Basile e per l’autore di “Troilo e Zellandina” è l’anima da condannare al rogo.