“Killers of the Flower Moon”. Il nuovo film di Martin Scorsese è alle altezze delle aspettative?
Capolavoro. Cos’è un capolavoro?
Il dizionario della lingua italiana recita: “può essere definito capolavoro un’opera che eccelle qualitativamente su altre opere dello stesso tipo”. Nel mondo cinematografico esistono diversi tipi di capolavori.
Pellicole come “Il re leone” o “Spiderman – Un nuovo universo”, per esempio, sono da molti considerati dei capolavori dell’animazione. Così come “Rashomon” e “I sette samurai” (entrambi del grande Akira Kurosawa) possono essere definiti capolavori del cinema orientale.
Ci sono poi quei film che, a discapito del genere, sono e devono essere giudicati come capolavori imprescindibili del cinema. Opere che rasentano la perfezione. Come “Qualcuno volò sul nido del cuculo” di Milos Forman. “C’era una volta in America” di Sergio Leone. “Il padrino” di Francis Ford Coppola.
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E se c’è un regista che ci ha abituati a pellicole di una tale bellezza e profondità da entrare di diritto nella categoria dei capolavori, quello è sicuramente Martin Scorsese. Nella sua lunga e gloriosa carriera difatti ha diretto “Quei bravi ragazzi”, un gangster movie che, sebbene la sua lunga durata, racconta trent’anni di storia della mafia italo americana senza mai stancare. O quanto meno, senza mai risultare pesante. Perché badate bene, un film lungo non è sinonimo di noioso. Chi ha mai visto “Novecento” di Bertolucci (320 minuti), lo sa bene.
Dieci anni prima di “Quei bravi ragazzi” aveva portato al cinema “Toro Scatenato”, entrambi con la coppia d’oro formata da Robert De Niro e Joe Pesci. Più recentemente, nel 2002, ha invece diretto “Gangs of New York”. Film che sancì il sodalizio con Leonardo DiCaprio, in cui raccontava la vicenda legata alla gang criminali dei Five Points, il quartiere degradato della Grande Mela teatro di numerose guerre tra bande.
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Quattro anni più tardi arrivò il film che finalmente valse a Martin Scorsese il suo primo e (finora) unico Oscar per la miglior regia. “The Departed”, un nuovo gangster con un Jack Nicholson in stato di grazia che impersona il mafioso Frank Costello, e un cast d’eccezione formato (tra gli altri) da Leonardo DiCaprio.
Percorrendo tutta la filmografia del Maestro non mancano quindi le pellicole che possono essere definite per qualcuno “capolavoro” . Ma, in virtù di questa riflessione, “Killers of the Flower Moon” non rientra tra queste.
Tratto dall’opera di saggistica “Gli assassini della terra rossa” di David Grann, il nuovo film di Scorsese promette di raccontare una delle pagine più atroci e sconosciute della storia americana: il massacro della tribù indiana degli Osage.
Divenuti ricchi grazie a ad alcuni giacimenti di petrolio rinvenuti nella loro terra, nella prima metà del ‘900 i nativi americani furono bersaglio dell’avidità dell’uomo bianco che per decenni organizzò macchinazioni, omicidi e insabbiamenti pur di impossessarsi di tale possedimento.
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In particolare, fu la famiglia Hale, guidata da King William (Robert DeNiro), a organizzare un macabro piano per impossessarsi delle ricchezze degli Osage.
Ma, sebbene il nuovo film di Scorsese presenti un cast di attori feticci da invidiare a chiunque altro regista, “Killers of the Flower Moon” è la dimostrazione di quanto la scelta degli attori può essere fondamentale per il successo di una pellicola. Invero, il sodalizio tra il Maestro e due attori come Robert De Niro e Leonardo DiCaprio ha spesso prodotto film incredibilmente belli. Come, del resto, anche le pellicole su cui hanno condiviso il set: “Voglia di ricominciare” e “La stanza di Marvin”.
Ma per quanto una tale collaborazione possa essere sinonimo di successo, a volte è indispensabile distaccarsi dai propri feticci e affidare ruoli importanti come quelli di William Hale e Ernest Burkhart ad altri volti.
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Invero, per quanto De Niro non riesce a rendere giustizia ad un uomo che per decenni seminò il panico tra la pacifica tribù degli Osage, dimostrandosi più una figura paterna piuttosto che un diavolo sterminatore, DiCaprio si dimostra semplicemente odioso nella parte di Ernest Burkhart, nipote e burattino a servizio del King. Difatti, i personaggi descritti nelle pagine del libro di Grann sono ben diversi da quelli rappresentati in “Killers of the Flower Moon”.
Scorsese trasforma un mostro, viscido e calcolatore come William Hale, capace di compiere crimini indicibili, atroci pur di arricchirsi, in un uomo avido ma poco inquietante (o incisivo se così lo si vuol definire). Leonardo DiCaprio invece da vita ad una marionetta senza spina dorsale anziché ad un uomo astuto, e sottolineo astuto, al punto tale da fingersi un marito devoto piuttosto che una bestia famelica e bramosa di ricchezze.
E sebbene quello di Molly Kyle, la moglie Osage di Ernest, sia un personaggio poco presente nell’opera di Grann, in “Killers of the Flower Moon” ricopre un ruolo di prima importanza. Ma tant’è. Si parla comunque di due opere ben distinte.
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Sfortunatamente, Lily Gladstone, così come i suoi illustri colleghi, non riesce a donare il giusto carattere ad una donna afflitta ma combattiva. Ma la recitazione sottotono anche di due giganti del cinema come De Niro e DiCaprio, non è l’unico problema del nuovo lavoro di Martin Scorsese.
Invero, anche la sceneggiatura, scritta a quattro mani con Eric Roth (già sceneggiatore di film come “Forrest Gump”) purtroppo non riesce a trasporre l’anima di un libro approfondito e ben sviluppato come “Gli assassini della terra rossa”.
Gli avvenimenti, che (vi ricordo) sono tratti da una storia vera, e la persecuzione verso il popolo di nativi americani vengono raccontati in maniera confusa e molto poco approfondita.
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Alcuni personaggi secondari infatti si riducono nell’anonimato. E, oltre a non aggiungere niente ai fini della trama, costringono gli spettatori che non hanno letto il saggio di Grann a domandarsi. Chi sono? E quale ruolo hanno avuto nel massacro degli Osage?
Viene quindi da chiedersi in virtù di quale motivazione avvengano determinati fatti. Una pecca piuttosto grande per una pellicola che dovrebbe raccontare una vicenda tanto importante. Persino la regia, che è sempre stata uno dei tratti caratteristici della carriera del Maestro, risulta piuttosto anonima. E non rispecchia per niente l’abituale estetica a cui ci ha abituati il regista Premio Oscar.
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Anche se è veramente mirabile la scelta di rappresentare alcune sequenze ricreando le foto originali che integrano il saggio di David Grann. Tuttavia, a livello estetico, “Killers of the Flower Moon” è una vera gioia per gli occhi. Le ambientazioni, aiutate da una fotografia chiara e ben definita, riescono a condurre gli spettatori nel vecchio west degli anni ’20. In quell’epoca dominata dai mandriani, dai cowboy, dalle aste di bestiame e dalla scoperta dei primi giacimenti di petrolio.
Eppure, nonostante la ricostruzione attendibile e veritiera delle ambientazioni, dopo “The Irishman”, “Killers of the Flower Moon” è il secondo film di Martin Scorsese che delude le aspettative. Possibile che il regista abbia perso il suo tocco? Spero proprio di no… torna presto Maestro, il cinema ha ancora bisogno di te!